In missione, al Balôn
Suor Paola Pignatelli e suor Julieta Joao, Fma, vivono missionarie a Porta Palazzo accanto alle donne immigrate nel mercato più grande d'Europa. La loro testimonianza all'assemblea missionaria. Gallery fotografica
Ci troviamo nel mercato più grande d’Europa. Porta Palazzo. È sabato e piazza della Repubblica tra i banchi è affollatissima, luogo di incontro di varia umanità che si trova a lavorare e vivere insieme: africani, cinesi, peruviani, del sud-est asiatico, italiani. Cristiani, musulmani. Donne, uomini, bambini. Ci sono tutti. Luogo di incontro nel cuore della città ma anche di disagio, sofferenza, illegalità.
Tra i banchi del mercato e le vie del Balôn incontriamo due veli bianchi, due suore che hanno scelto di «stare dentro» Porta Palazzo. Sono missionarie salesiane delle Figlie di Maria Ausiliatrice che ogni giorno portano speranza fra le donne immigrate. Sono suor Paola Pignatelli, italiana, e suor Julieta Joao del Mozambico, inviate dalla congregazione dieci anni fa in missione a Torino, nel mercato di Porta Palazzo.
Le due religiose hanno portato la propria testimonianza alla consueta assemblea missionaria diocesana, sabato 17 settembre, presso l’Istituto Missioni della Consolata in via Cialdini.
Presenti i rappresentanti degli oltre cento gruppi missionari che operano in diocesi, comprese associazioni e onlus in contatto con missioni e progetti portati avanti da molti anni in particolare in Africa e America Latina, in ottica di cooperazione tra Chiese sorelle.
Uno «start up» per le realtà missionarie in preparazione alla Giornata missionaria mondiale che si celebrerà domenica 23 ottobre sul tema «Nel nome della Misericordia».
Ed ecco due sorelle che quotidianamente vivono l’esperienza della misericordia, «missionarie non solo ‘ad gentes’ – hanno sottolineato le religiose salesiane - ma fra la gente nel cuore di Torino».
Suor Paola partì «per la missione» in un viaggio di due soli isolati di distanza: fino al 2006 insegnava Lettere e Storia dell’arte al liceo Maria Ausiliatrice a Torino, mentre suor Julieta era docente di Portoghese nelle scuole di Namaacha, Pemba e Maputo in Mozambico. «E così siamo giunte alla scuola della gente!». «Abitare Porta Palazzo – afferma suor Paola – ti cambia dentro e fuori, senza pietà».
Chi sono i poveri, gli esclusi, gli stranieri, i tossici, chi sono i veri dipendenti? Da chi e da che cosa? Sono le domande che ogni giorno si pongono le due missionarie.
«La cocaina – riflette suor Pignatelli – è indubbiamente un canale di morte, come la prostituzione e il traffico di persone, ma anche la dipendenza da strutture mentali e il condizionamento da fonti di informazione più o meno viziate, da programmi politici inevitabilmente di parte, da finanziamenti erogati e/o reperiti da bacini ambigui sono canali di morte».
«Allora Porta Palazzo – continuano le salesiane - diventa per noi che cerchiamo di ‘starci dentro’ e stare con la gente del Balôn, veramente una Porta Santa e una liturgia della vita, un rito che ha il sapore delle gerarchie capovolte, la forza della sinodalità, dove il popolo, la base, è più eloquente del vertice. Una Porta che ci spinge a varcare la soglia: quella dell’indifferenza e ci fa entrare impietosamente nel ‘tu’ dell’altro, scalze, perché terreno sacro che smaschera, perdona e converte».
Le due sorelle oltre all’esperienza dell’ascolto, dell’accompagnamento verso le donne immigrate propongono ogni giorno presso la sede di via Mameli 10, da lunedì a venerdì dalle 9.30 alle 11.30 e dalle 14 alle 16, alcuni laboratori di italiano, ricamo, uncinetto, maglia, stiro, cura della casa.
Suor Paola e suor Julieta sono anche ponte tra le fedi e le religioni che si incrociano a Porta Palazzo. «Un dialogo – affermano - in un contesto massacrato dalle stragi dell’Isis e le polemiche del ‘burkini’, che non forza mai né tempi, né processi, nel rispetto reciproco e nella vicinanza, consapevoli che non è più un fatto di ‘immigrazione’ o ‘integrazione’ ma interazione e contributo reciproco, in quanto qui ed oggi ci troviamo a vivere insieme».
Sono tanti i volti a cui le missionarie portano misericordia.
«Come Helen - raccontano - che il primo giorno di scuola di italiano si tira giù i jeans per mostrarmi la gamba devastata da un treno a Porta Susa per sfuggire alla maman, o Nadia che mette al mondo Anuar e crede alla vita nonostante le ripetute gravidanze siano state la causa di gravi malattie per i suoi bambinii, o Omo, Fabiola, Mercy vendute nei traffici di persone».
«Nel nostro servizio – dice suor Julieta - non servono approcci superficiali ma è sicuramente necessaria la misericordia nella ‘sospensione del giudizio’ e la palestra dello stupore dell’altro, in grado di guarire le ferite e contrastare la paura della diversità».
«Per noi è fondamentale – concludono - dimostrare insieme con la nostra amicizia e collaborazione che siamo uguali in dignità, pur nelle differenze legittime, senza portare la nostra parziale verità in modo invasivo».
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