La Chiesa, la Storia e il futuro
Proclamati santi in una domenica memorabile davanti a 800 mila fedeli in piazza San Pietro e davanti a due miliardi di persone incollate ai teleschermi in ogni angolo della terra i due papi del Novecento, Roncalli e Wojtyla, per la loro spiritualità, per aver aperto nuove vie e conferito alla Chiesa slanci che l’hanno pervasa nei trascorsi cinquant’anni e la proiettano nel futuro, quello attuale e quello più lontano. Ambedue «coraggiosi». Hanno servito la Chiesa e il popolo di Dio.
Queste le principali caratteristiche e i connotati che il loro successore, papa Francesco, ha riscontrato nei due «preti, vescovi, papi» nell’elevarli alla gloria degli altari, iscriverli nel Catalogo, far esporre il loro vessillo sulla facciata della Basilica più celebre e ammirata al mondo, quella di San Pietro. Con una cerimonia volutamente essenziale, ma proprio per questo ancora più solenne e suggestiva, il popolo di Dio, che da sempre ha sentito questi due leader spirituali come santi e come tali li ha invocati, ha accolto la proclamazione ufficiale, il sigillo che fa di loro, di san Giovanni XXIII «una guida-guidata» (guidata dallo Spirito santo) e di san Giovanni Paolo II «il Papa della famiglia», con un boato, uno sventolio di bandiere e vessilli, evviva e applausi.
In questo sottolineare il desiderio di papa Wojtyla di essere ricordato come «il Papa della famiglia» c’è una chiave di volta di grande attualità. «Mi piace sottolinearlo mentre stiamo vivendo un cammino sinodale sulla famiglia e con le famiglie», ha detto Francesco nell’omelia, «un cammino che sicuramente dal Cielo lui accompagna e sostiene. Che entrambi questi nuovi santi Pastori del Popolo di Dio intercedano per la Chiesa affinché, durante questi due anni di cammino sinodale, sia docile allo Spirito santo nel servizio pastorale alla famiglia». La famiglia è oggi al centro delle preoccupazioni, dei pensieri, ma anche delle attese e delle speranze della Chiesa. Il Sinodo vede così accresciuta la sua importanza.
Ai due Pastori santi, Francesco ha chiesto che «ci insegnino a non scandalizzarci delle piaghe di Cristo, ad addentrarci nel mistero della misericordia divina che sempre spera, sempre perdona, perché sempre ama. Non hanno avuto "paura" di chinarsi sulla "sofferenza" e sulle "piaghe" dell'uomo, e in questo modo hanno dato testimonianza alla Chiesa e al mondo della bontà di Dio, della sua misericordia». Del XX secolo «hanno conosciuto le tragedie, ma non ne sono stati sopraffatti. Più forte, in loro, era Dio; più forte era la fede in Gesù Cristo Redentore dell'uomo e Signore della storia; più forte in loro era la misericordia di Dio».
Ottocentomila ad assistere al rito, dopo aver affrontato il pellegrinaggio come nei tempi antichi, anche se con pullman, auto, treni, aerei, ma anche in bicicletta e a piedi e aver dormito nei sacchi a pelo, o aver vegliato in preghiera, pronti a conquistare una buona posizione per non perdere neanche un passaggio della cerimonia. E chi non è riuscito a entrare nella piazza, si è accontentato delle adiacenze, del Circo Massimo, di piazza Navona, piazza Risorgimento con i mega teleschermi. I più fortunati hanno avute accesso sui terrazzi, sui tetti, ai balconi. Un popolo generoso, entusiasta, instancabile, composto non solo di giovani, ma anche anziani e bambini.
Evento singolare che a celebrare il rito ci fosse anche il papa emerito Benedetto XVI, non sull’altare, ma egualmente vestito dei paramenti sacri e in prima fila insieme agli altri cardinali-vescovi, perché Ratzinger, il Papa che si è dimesso, è nel cuore della Chiesa e dei fedeli. Non è un estraneo. Non è un competitor. È il primo a mostrare obbedienza al suo successore. Con Francesco un lungo e affettuoso abbraccio, prima e dopo la messa. E i fedeli a salutarlo. Lo saluta anche il presidente della Repubblica italiana, col quale si era incontrato più volte. Uno scambio cordiale di saluti. Giorgio Napolitano è con la moglie Clio, e il premier Matteo Renzi con la moglie Adele Landini.
Ci sono 24 capi di Stato, dieci capi di Governo e 122 delegazioni internazionali. Tra i primi ad arrivare il presidente del Consiglio d’Europa, Herman Van Rompuy, con la moglie. Cronisti e telecamere notano il presidente dello Zimbabwe, Robert Mugabe, il dittatore non gradito in Europa, e che però non manca mai. La cronaca segnala le tre regnanti che hanno il privilegio di vestire di bianco: Sofia, regina di Spagna, con il marito re Juan Carlos di Borbone appoggiato al bastone, Paola del Belgio col marito Alberto II e Marie Thèrese di Lussemburgo.
Al termine della messa, dopo la comunione degli stessi concelebranti e a tutto il popolo distribuita da 800 ministranti tra sacerdoti e diaconi, papa Francesco ha egualmente scambiato saluti e alcune frasi con il presidente Napolitano, con Renzi, con i rappresentanti degli Stati e dei governi, con le signore. Molte tra le regine, le principesse e le consorti dei capi di Stato e di governo, soprattutto degli stati africani, si sono mostrate particolarmente devote, baciando e trattenendo la mano del Papa, intavolando un breve discorso, porgendo un regalo. Lungo l’elenco di quanti hanno scattato i selfie con il telefonino per avere un ricordo indelebile di questa straordinaria, emozionante, storica giornata dei due Papi santi (come sarà per sempre ricordata e definita) canonizzati da due Papi. La Chiesa è in un’altra era. Il mondo è in un’altra era. Oggi santi sono i Papi, perché messaggeri di Dio, campioni di pace e di bontà, esempi di sofferenza e di misericordia.
Papa Francesco non si è mostrato solo dall’altare nei solenni paramenti e nella mitria bianca, con in mano il pastorale di Paolo VI, e la sosta in preghiera davanti alla statua della Madonna, né si è concesso, per doveroso riguardo e senso di ospitalità, solo alle autorità, ma, dopo aver ringraziato dall’altare quanti avevano partecipato e soprattutto quanti avevano collaborato (dai responsabili dell’ordine pubblico alle istituzioni e sopratutto alle migliaia di volontari) è salito sulla jeep bianca per compiere il giro della piazza, come a salutare quasi uno per uno tutti i presenti, e si è spinto fino in fondo a via della Conciliazione, a lambire Castel Sant’Angelo e il Tevere.
Ora si apre un Mese di maggio nel quale il Papa onorerà la Madonna e sotto la cui protezione porrà il fondamentale pellegrinaggio in Terrasanta in programma dal 22 del mese, nel segno dell’ecumenismo con i cristiani ortodossi d’Oriente, ma anche con gli ebrei, per il dialogo con i musulmani e le altre religioni, invocando la pace per i travagliati popoli del Medio oriente. Ci sono addirittura voci provenienti da fonti autorevoli secondo cui il Papa andrebbe pure nei territori e zone di guerra. Quel che è certo e che là dove c’è la mafia, corpo estraneo e malsano, un subdolo, diabolico nemico, c’è la guerra. E Francesco va in uno dei covi, a Cassano, in quella Calabria dove la ‘ndrangheta ha ucciso il piccolo Cocò e un vecchio parroco. Ancora un viaggio nel Molise. E in agosto in Corea, alle porte della più lontana Asia, alle porte della Cina, in uno Stato diviso in due, come tante drammatiche realtà di oggi.
Domenica gloriosa e lunedì gaudioso. Papa Francesco concede udienza privata nello studio presso l’Aula Paolo VI ai Reali di Spagna per un esame dei rapporti bilaterali, che sono soddisfacenti, e sui problemi mondiali, ma presiede anche la quarta riunione del Consiglio di cardinali, l’organismo voluto per aiutarlo nel governo della Chiesa universale e per studiare un progetto di revisione della Costituzione apostolica Pastor bonus sulla curia romana. Una riunione programmata per tre giorni. E in Vaticano non è cessato il pacifico assedio di decine di migliaia di persone che hanno partecipato sempre in piazza San Pietro alla messa di ringraziamento della comunità polacca per Giovanni Paolo II, la cui festa cadrà il 22 ottobre, mentre quella di Giovanni XXIII è fissata per il 3 giugno. A questi due Santi ha reso omaggio dagli Stati Uniti il presidente Barack Obama riecheggiando la testimonianza che «hanno aperto alla Chiesa e al mondo». La messa di ringraziamento è stata presieduta dal card. Angelo Comastri ed aperta con un saluto del card. Stanislao Dziwisz, arcivescovo di Cracovia e per circa quarant’anni segretario personale di Karol Wojtyla. «Un Papa», ha detto il cardinale, «profondamente legato, oltre che alla sua Polonia, anche all’Italia, che lo ha ricambiato di pari amore».
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