Giovanni Paolo II, dieci anni dopo
Un ricordo del Papa, oggi Santo, che ha plasmato, educato e guidato una generazione di giovani e il suo rapporto con la Sindone
Un decennio, ci dicono i ricercatori, è un lasso di tempo inconsistente per la storia, che si misura in archi di tempo ben più corposi. Diverso il punto di vista «più breve» dei cronisti che per mestiere devono cogliere l’attimo e di lì partire per raccontare la realtà. Dieci anni fa moriva Giovanni Paolo II e in questa ricorrenza così significativa, che perciò diventa occasione di bilancio – anche per chi come chi scrive è stata una «papa Boys» degli anni Ottanta -, abbiamo ripreso in mano lo speciale che «La Voce del popolo» aveva pubblicato in quei giorni di lutto per tutto il mondo. Il cardinal Poletto scriveva che il nostro dolore per la morte del papa polacco era proporzionato alla sua grandezza; don Renzo Savarino sottolineava come le sue visite alla nostra diocesi continuino ad essere una «provocazione»; il compianto don Giuseppe Pollano si soffermava su come la grande popolarità di Giovanni Paolo II si fondasse soprattutto sul suo modo di essere missionario perché contemplativo… Un uomo grande, un provocatore, un contemplativo. Tre definizioni delle migliaia che sono state usate per papa Wojtyla che ritornano ripensando il rivedendo un’immagine del pontificato di Giovanni Paolo II che abbiamo poi rivissuto con il suo successore, Benedetto XVI e che ora ci apprestiamo a vivere con Francesco domenica 21 giugno prossimo.
Domenica 24 maggio 1998, Giovanni Paolo II già malfermo, venne pellegrino per venerare la Sindone. Invecchiato e inginocchiato davanti allo «strazio» dell'Uomo della Sindone, ci sembrò specchiarsi in quel Volto sofferente.
Lo ricordiamo tremante per il dolore fisico, in ginocchio davanti alle piaghe del Crocifisso, per un tempo interminabile: così ha insegnato ai torinesi e ai pellegrini della Sindone ad inginocchiarsi davanti a chi soffre. Durante la Gmg a Czestocowa nel 1991, all’indomani della caduta del Muro di Berlino, ci colpirono le migliaia di giovani polacchi in ginocchio sulla spianata del Santuario della Madonna Nera. Le ginocchia dei giovani d’Occidente avevano perso da tempo l’abitudine di pregare in quel modo.
E così, quando la sua preghiera silenziosa davanti al Sudario è terminata ha potuto rivolgere a tutti un monito che era specchio della sua vita. Ha parlato rivolto soprattutto a chi era fuori dalla cattedrale, a chi non entra mai nelle chiese
Ecco le sue parole di quel 24 maggio, così attuali, che ci preparano a quelle che pronuncerà Francesco, il papa delle periferie, tra qualche settimana: «La Sindone ricorda all'uomo moderno, spesso distratto dal benessere e dalle conquiste tecnologiche, il dramma di tanti fratelli, e lo invita a interrogarsi sul mistero del dolore per approfondirne le cause. L'impronta del corpo martoriato del Crocifisso, testimoniando la tremenda capacità dell'uomo di procurare dolore e morte ai suoi simili, si pone come l'icona della sofferenza dell'innocente di tutti i tempi: delle innumerevoli tragedie che hanno segnato la storia passata, e dei drammi che continuano a consumarsi nel mondo.
Davanti alla Sindone come non pensare ai milioni di uomini che muoiono di fame, agli orrori perpetrati nelle tante guerre che insanguinano le nazioni, allo sfruttamento brutale di donne e bambini, ai milioni di esseri umani che vivono di stenti e di umiliazioni ai margini delle metropoli, specialmente nei Paesi in via di sviluppo? Come non ricordare con smarrimento e pietà quanti non possono godere degli elementari diritti civili, le vittime della tortura e del terrorismo, gli schiavi di organizzazioni criminali? Evocando tali drammatiche situazioni, la Sindone non solo ci spinge ad uscire dal nostro egoismo, ma ci porta a scoprire il mistero del dolore che, santificato dal sacrificio di Cristo, genera salvezza per l'intera umanità».
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