Vescovi piemontesi coraggiosi durante la seconda guerra mondiale

Alle ore 12 del 9 ottobre 1944 l’eccidio di Villadeati (Alessandria) è compiuto. 

Parole chiave: caduti (2), guerra (63), Resistenza (23)
Vescovi piemontesi coraggiosi durante la seconda guerra mondiale

«La notizia della feroce ese­cuzione compiuta dai tedeschi del parroco di Villadeati e di nove parrocchiani mi tra­passò il cuore come una lama di coltello. Non potevo credere che si fosse compiuta tanta barbarie. Con il cuore sanguinante mi presentai al comando tedesco di Casale, senza chiedere udienze, perché pochi giorni prima mi era stata villanamente negata. Era la prima volta che entravo là dentro e vi entravo - lo sapevo bene - come un accusato. I buoni uffici di gente nostra, dimentica di essere ita­liana e cristiana, unicamente e ciecamente guidata da motivi di astio partigiano, mi avevano dipinto davanti al maggiore tedesco come il capo dei partigiani del Monferrato. Dio sa se meritavo tale appellativo. Dio sa che, durante il lungo doloroso calvario dell’occupa­zione tedesca, la mia preoccupazione fu una sola: salvare il mio popolo, essere e mostrarmi padre di tutti, senza distinzione di parte».

Sotto il fuoco dei nazisti cadono il parroco don Ernesto Camurati e dieci padri famiglia dai 44 ai 57 anni. Mons. Giuseppe Angrisani, torinese di Buttigliera d’Asti dove nasce nel 1894, segretario del cardinale arcivescovo Giuseppe Gamba, parroco della Crocetta, dal 1° luglio 1940 è vescovo di Casale Monferrato ed è accolto «glacialmente. Dissi al maggiore tedesco: “Ho saputo la triste notizia, che mi avete mitra­gliato in piazza il parroco di Villadeati con nove capi famiglia. Vengo a domandarvi che delitto hanno com­messo”. Mi rispose: “Quel paese era tutto per i partigia­ni. Il parroco era sempre con i capi dei partigiani”. Smentii recisamente l'accusa, provando che il parroco non aveva avuto altra relazione con i partigia­ni che di ministero sacerdotale, essendo stato chiamato a dare i conforti religiosi ad alcuni che dovevano essere giustiziati dai partigiani stessi. Aggiunsi che il parroco si era anzi interessato di chiedere che fosse salva la vita a quei disgraziati e che si era preoccupato di far pervenire notizie ai parenti. La conversazione si prolungò per un'ora e mezza, aspra, con momenti di drammaticità violenta. Ricordo che, nell'andarmene, dissi testualmente: “Noi, davanti a voi, siamo dei poveri schiavi e potete fare di noi quello che volete. Ma ricordatevi che c’è un Dio al di sopra di tutti e che a Lui dovrete rendere conto di tutto”».

Il giorno dopo è fissata la sepoltura delle vitti­me a Villadeati: «Non volevo, non potevo mancare. Di buon mattino mi misi in viaggio. Giunto alla piazzetta, un gruppo di gente mi si fece attorno. Quando si accorsero che c'era il vescovo, fu uno scoppio alto, straziante, di urla e singhiozzi. La piccola folla cresceva, e cresceva la fiumana del pianto. Mi dissero che si era tramandata la sepoltura al giorno seguente per paura di complicazioni».

Per 31 anni Angrisani, che rinuncia il 1° marzo 1971, è un pastore sempre e solo dedito al bene del suo popolo. Uomo libero e desideroso della libertà per tutti, si pone ben presto in rotta di collisione con le autorità fasciste: nel 1942 inun rapporto riservato della polizia politica viene definito «furiosamente antitedesco e nettamente disfattista». La sua predica della Pasqua 1944 è definita dai fascisti «una presa di posizione e dichiarazione di guerra al movimento nazionalsocialista». In realtà il vescovo si mantiene al di sopra delle contese, compie il suo dovere di pastore che tenta di evitare lutti, rovine e danni alla popolazione. Lo scrive chiaramente negli articoli pubblicati sul settimanale cattolico «La VitaCasalese» raccolti poi nel fascicolo «La croce sul Monferrato durante la bufera» che ha avuto decine di ristampe.
Angrisani interviene innumerevoli volte a mediare tra partigiani e occupanti e per salvare i paesi dall’orda nazifascista. Scongiura la rappresaglia tedesca a Rosignano contro una settantina di civili, tra cui una donna, già messi al muro. Dopo l’eccidio di Villadeati sfida le SS visitando le famiglie di tutte le vittime passando di casa in casa. Impedisce che all’incendio di oltre 40 case di Pontestura seguano più gravi rappresaglie, interviene presso il comandante tedesco di Casale.
L’azione senza dubbio più coraggiosa è a favore di 150 civili rastrellati dai nazifascisti a Ozzano il 14 novembre 1944, come rappresaglia per l’attacco portato dai partigiani a un’autocolonna. Il vescovo tratta febbrilmente e a lungo con partigiani e nazisti facendo la spola trala Valcerrina e Ozzano. Convince i partigiani a rilasciare i prigionieri: liberati questi, anche gli ostaggi civili, sui quali incombe la deportazione in Germania, sono salvi. Scrittore brillante e predicatore efficace, predica gli esercizi spirituali a Papa Giovanni e alla Curia Romana nel 1959. Casale gli ha dedicato la piazza antistante la splendida Cattedrale.  

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Medaglia d'oro Citta di Asti e medaglia d'argento al valor civile, Umberto Rossi,  nativo di Casorzo nel 1879, è vescovo di Asti dal 14 maggio 1932 alla morte il 6 agosto 1952. Durante la seconda guerra mondiale si adopera molto per liberare gli ostaggi dai nazifascisti e per salvare i condannati a morte. Presso il comando tedesco di Bra si offre in sostituzione di 24 ostaggi di San Damiano d'Asti e durante la controffensiva alleata, appoggiata dai partigiani, si reca più volte nei paesi di Grana, Scurzolengo, Calliano, Mombercelli, Rocchetta Tanaro, Baldichieri, Montafia, Portacomaro, Astello di Annone. Rischia la vita per l'esplosione di una bomba a mano mentre si reca dai capi partigiani per trattare la salvezza di Rocchetta Tanaro. Asti gli ha dedicato una via nei pressi della Cattedrale e del Seminario.

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«La divisa episcopale di mons. Luigi Maria Grassi, vescovo di Alba dal 1933 al 1948 era “Bonus miles Christi”. Buon soldato di Cristo» scrive il suo successore il 1° gennaio 1973 nella prefazione alla ristampa «La tortura di Alba e dell’Albese (settembre 1943-aprile 1945). Ricordi personali», pubblicato per la prima volta dalle Edizioni Paoline nell’aprile 1946.

Il periodo più tormentato del suo episcopato è quello tra l'8 settembre 1943 e il 26 aprile 1945, quando deve fronteggiare le ingerenze nella vita della diocesi, sia dei fascisti della Repubblica Sociale Italiana, sia delle truppe tedesche d'occupazione, sia quelle della Resistenza partigiana. In particolare il 10 settembre 1943 con il suo intervento favorisce la liberazione dei soldati del presidio di Alba, già rinchiusi dai tedeschi nei carri bestiame, fermi nella stazione ferroviaria, pronti a partire per i campi di concentramento e di sterminio in Germania; nel luglio 1944 favorisce lo scambio di prigionieri fungendo da mediatore in varie e diverse occasioni fra nazisti e partigiani, finché il 10 ottobre 1944 i nazifascisti, per mancanza di uomini per fare un presidio sufficiente a proteggerli, grazie alla mediazione di mons. Grassi, decidono di abbandonare Alba e dintorni senza danni e senza spargimento di sangue.

Divide con i fedeli e i sacerdoti della diocesi la tragedia della guerra; mette più volte a repentaglio la propria vita per la salvezza della città di Alba e per la liberazione dei prigionieri e degli ostaggi. Mons. Grassi conclude il suo corposo diario: «Voglia Iddio che gli uomini si pongano bene in mente che tanti dolori sarebbero stati evitati se essi fossero stati docili, in alto e in basso, a Dio e alla sua legge e che infischiarsene vuol dire in conclusione portare al suicidio gli uomini e le nazioni». Per la sua opera durante la lotta di liberazionela Giuntacomunale il 31 ottobre 1945 gli conferisce la cittadinanza onoraria della città e gli viene intitolata una piazza.

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Mons. Egidio Luigi Lanzo, cappuccino nato a Caraglio (Cuneo) nel 1885, è vescovo di Saluzzo dal 22 gennaio 1943 alla morte il 29 gennaio 1973. Inizia l’episcopato nel momento più critico, quando l’Italia è esposta alle insidie delle parti avverse, la prepotenza nazista e le azioni dei partigiani. Opera con pazienza e coraggio al di sopra della contingenza politica e riuscendo a imporre la sua mediazione in momenti critici, come quando interviene per la salvezza degli ostaggi prigionieri nel castello di Scarnafigi. Sono mesi – scrive il vescovo - «di trepidazione, di minacce, di angoscia e di pericoli». I nazisti mettono a ferro e fuoco il Saluzzese. Le prime vittime a Ceretto, Dronero, Villar Bagnolo, seguite da molte altre in luoghi e tempi diversi. Arresti, deportazioni, esecuzioni, depredazioni, ostaggi sono all’ordine del giorno. Le parrocchie di Barge, Martiniana, Sanfront, Paesana, Venasca, Rossana, Cartignano, San Damiano Macra vivono la prova del fuoco. Tutte le comunità sentono, in misura diversa, il peso di tante calamità.

Preoccupatissimo, il vescovo nel 1944 scrive ai diocesani: «Gli angosciosi fatti che turbarono la vita della diocesi nei giorni scorsi, si ripercossero nell'animo mio con ferita straziante. Però vi scongiuro, figli dilettissimi, per la carità di Gesù Cristo a non aggravare oltre la delicata situazione attuale, con atteggiamenti inconsulti o azioni imprudenti. Raccolgo le lacrime di tutti i sofferenti e le offro a Dio in espiazione universale per questa povera umanità provata da tante sventure, imploro per i defunti pace e riposo in Cristo».
Uniti al vescovo, i parroci e sacerdoti saluzzesi danno ammirevole testimonianza di amore. Mons. Lanzo in quegli anni turbinosi è il «defensor dei suoi» sacerdoti e laici, senza differenze di parte. Quando il suo intervento risulta insufficiente, non esita a ricorrere al cardinale arcivescovo di Torino Marurilio Fossati, riuscendo all'ultimo istante a salvare un gruppo di sacerdoti e laici destinati alla fucilazione.

Sono quattro buoni pastori subalpini disposti a dare la via per la loro gente. 

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