Agorà

"Un patto per il lavoro"

Un patto per il lavoro e i giovani. E' l'appello lanciato dall'arcivescovo di Torino, mons. Cesare Nosiglia, a politici, al termine dell'Agorà del sociale, l'assemblea che sabato 27 settembre ha riunito i vertici del mondo politico, delle imprese, del sindacato e del sociale per uscire dalla crisi. Tra le proposte: una "cabina di regia" per costruire una grande speranza per la città.

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Agorà, mons. Nosiglia

Una «cabina di regia» per costruire una grande speranza per Torino. È la proposta lanciata dall’arcivescovo, mons. Cesare Nosiglia, al termine dell’Agorà del sociale, l’assemblea che sabato scorso ha riunito i vertici del mondo politico, delle imprese, del sindacato e del privato sociale per cercare insieme una ricetta per uscire dalla crisi. In sala tutti i grandi attori della città: dal sindaco, Piero Fassino, al presidente della Regione, Sergio Chiamparino, dal rettore dell’Università, Gianmaria Ajani, al presidente dell’Unione industriale, Licia Mattioli, dal segretario generale della Cisl, Domenico Lo Bianco, al presidente della Fondazione San Paolo, Luca Remmert, al portavoce del Terzo settore, Marco Canta.

E che la crisi non smetta di mordere lo dimostrano i dati da “allarme rosso” ricordati in apertura dei lavori dal sindaco Fassino: 7 per cento di povertà assoluta, 11 mila nuclei che nel 2013 si sono rivolti per la prima volta ai servizi sociali, 6 mila anziani soli seguiti dai servizi, 4.000 gli sfratti per morosità (nel 2005 erano 2.500), 12 mila le richieste di un alloggio popolare a fronte di un’offerta Atc di appena 500. Il risultato drammatico è sotto gli occhi di tutti: una città spaccata in due: da una parte, c’è chi riesce a difendere il lavoro e un buon livello di reddito; dall’altra, chi scende nella cosiddetta “povertà grigia”. Dal 2008 al 2013, ha aggiunto il segretario generale della Cisl, Domenico Lo Bianco, abbiamo perso oltre 50 mila posti di lavoro solo nella provincia di Torino. Mentre le persone in cerca di occupazione sono raddoppiate: erano 58 mila e sono diventate 118 mila. A pagare il prezzo più alto, come sempre, i giovani: la disoccupazione sfiora ormai il 46 per cento.

Per una città post-industriale in crisi di identità come Torino il destino è segnato? No, hanno risposto tutti gli attori dell’Agorà. Ma come intervenire, allora? La soluzione è in quel «patto sociale e generazionale» che mons. Nosiglia ha scelto come titolo dell’Assemblea. Con tre obiettivi: il lavoro, la formazione e il welfare. «Il diritto al lavoro», ha detto mons. Nosiglia, «significa promuovere insieme un cammino professionale all’interno di un sistema di regole chiare e imparziali». Poi, a margine dell’incontro, sollecitato dalle domande dei giornalisti, ha aggiunto: «Insieme non significa, però, che chi ha il dovere di prendere decisioni debba aspettare che tutti siano d’accordo, deve a un certo punto decidere», perché il sistema lavoro in Italia «è bloccato da incrostazioni e veti incrociati». Anche il welfare va ripensato: da quello “sussidiario” a quello “di comunità”, evitando la deriva puramente assistenziale. Al centro, ha detto Nosiglia, devono sempre stare le persone: «Sono gli uomini, le donne e le famiglie il bene da valorizzare. E sono i giovani i protagonisti della speranza: serve un “patto generazionale”, con un obiettivo di crescita e di cittadinanza».

La forbice tra chi ce la fa e gli ultimi continua a crescere. Come intervenire per bloccare questa polarizzazione? «Da una parte, cresce la domanda di tutela e sostegno, dall’altra le risorse pubbliche diminuiscono», ha detto Fassino. «Martedì (della scorsa settimana, ndr) mi sono vegliato con 7 milioni di euro in meno di lunedì, perché il governo ha tagliato in tutto 170 milioni di euro di trasferimenti agli enti locali… Come fare? Non si può dire: “Non ho soldi, arrangiatevi”. Non possiamo che ripensare il nostro sistema di welfare». Un welfare dalla lunga tradizione: solo nella fascia 0-6 anni, ha ricordato il sindaco, Torino conta 700 realtà che ogni giorno erogano servizi per 46 mila bambini, dagli asili alle scuole, dai pediatri ai baby garden; nel socio-assistenziale, gli enti sono 570. «Dati importanti, segno di civiltà. Ma se vogliamo mantenere lo stesso livello di assistenza, senza poter contare sulle stesse risorse finanziarie, dobbiamo per forza estendere il principio di sussidiarietà: dal punto di vista finanziario, sociale e personale». L’esempio dei nidi affidati in esterno, che ha fatto tanto discutere («Senza però diminuire l’offerta del servizio», ha precisato il sindaco) ha aperto la strada. «L’importante è non rinunciare alla funzione di regia dell’attore pubblico. Oggi Torino ha 56 posti nido in più…».

La ricetta per uscire dalla crisi parte da un radicale cambio di mentalità. «Allargare il principio di sussidiarietà non significa ridurre l’offerta», ha detto Fassino, «ma cambiare il modello erogativo proprio per garantire la stessa offerta». E, infine, l’appello: «Dobbiamo riscoprire la bellezza del dono. Nonostante la crisi, ricordiamoci che viviamo nella parte ricca del mondo, e Torino è nella parte più ricca del Paese». Il dono allora diventa una sorta di restituzione in vista del bene comune.

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