Agorà del Sociale, un patto per Torino
I vertici del mondo politico torinese, delle imprese, del sindacato e del privato sociale siedono sabato 27 settembre al grande tavolo dell’«Agora Sociale»,
l’Assemblea che conclude un anno di consultazioni condotte dalla Diocesi di Torino - in seno alla società civile e al mondo ecclesiale - per sostenere la riflessione sul rilancio della città post-industriale. La presenza delle istituzioni è vasta e ai massimi livelli. Si cercano idee condivise per lo sviluppo. L’ampia partecipazione esprime già il primo messaggio che l’Agorà vorrebbe lanciare per gli anni a venire: si esce dalla crisi se si impara a lavorare insieme. È la richiesta di «un patto sociale e generazionale» per Torino, titolo dell’Assemblea. Su questo numero della «Voce del Popolo» ospitiamo la riflessione dei protagonisti all’incontro che sabato dalle 9 alle 13, presso il Centro Incontri della Regione Piemonte, prevede interventi di mons. Cesare Nosiglia, del presidente della Regione Sergio Chiamparino, del sindaco di Torino Piero Fassino. Una tavola rotonda coordinata dal giornalista Rai Gianmario Ricciardi darà voce al presidente dell’Unione Industriale Licia Mattioli, il segretario della Cisl torinese Domenico Lo Bianco, il rettore dell’Università Gianmaria Ajani, il presidente della Compagnia di San Paolo Luca Remmert e il portavoce del Forum del Terzo Settore Marco Canta. Moderatore Pierluigi Dovis, direttore della Caritas Diocesana. Il quadro di declino è pesante e sotto gli occhi di tutti. Le iniziative intraprese per contrastare la crisi dell’area torinese sono molte, talvolta promettenti, ma c’è l’esigenza di «strategie comuni». Nel documento-piattaforma che sintetizza i frutti della consultazione condotta dall’Agorà nel 2013-2014 («La Voce del Popolo» ne ha dato conto passo dopo passo) viene fatto osservare che «molti progetti e iniziative, tanto imprenditoriali quanto sociali, oggi si incagliano o vengono abbandonati perché non riescono a superare le separazioni artificiose delle burocrazie e delle rigidità culturali». Ecco l’appello a dialogare di più, unire le forze, lavorare in «rete». «Si tratta di cambiare mentalità: comprendere che il mettere a disposizione dati e risorse, nella prospettiva del ‘fare insieme’, è l’unico modo per sopravvivere e per costruire un’identità nuova e adeguata ai tempi e alle esigenze del territorio». È un messaggio di fiducia nella capacità di Torino. «Molte altre città d’Europa hanno conosciuto crisi analoghe a quella torinese – leggiamo nella piattaforma dell’Agorà – e sono state in grado di inventare soluzioni efficaci partendo dalla valorizzazione delle risorse proprie. Sono diventate metropoli accoglienti, oltre che intelligenti, hanno sviluppato sistemi di servizi e reti di comunicazioni di standard elevato. Sono città che hanno rotto gli isolamenti vecchi e nuovi, hanno saputo incoraggiare investimenti e insediamenti di attività imprenditoriali usando tutte le leve del marketing urbano, dall’incentivazione fiscale ai percorsi burocratici semplificati». La transizione di Torino pare eterna. L’Agora chiede di interpretarla tenendo fermi tre grandi filoni d’impegno: gli investimenti per la formazione delle nuove generazioni; il sostegno e la modernizzazione del lavoro; il sostegno di un sistema di welfare nuovo, «non solo assistenziale ma collegato alle opportunità di rigenerare e responsabilizzare i cittadini, puntando soprattutto sul principio di solidarietà». Al di là delle proposte d’intervento, la piattaforma dell’Agorà esprime una grande preoccupazione di fondo: che la crisi finisca per cancellare presso intere fasce di popolazione debole (immigrati, giovani senza lavoro, anziani soli…) il fondamentale senso di cittadinanza, che è spirito di appartenenza, adesione a regole condivise, fiducia nelle relazioni. Il rischio dell’esclusione è grave, assolutamente da evitare. Occorre che ogni cittadino continui a «sentire la città come la sua casa e non un luogo estraneo; una comunità e non un contenitore anonimo di tante realtà, servizi e iniziative ma senza un’anima e un fine comune da perseguire uniti. Quanti ‘orfani della città’ sono attorno a noi, sono stranieri, non solo perché immigrati, ma anche perché ignorati e collocati ai margini della città
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