Il Sermig la casa dei giovani in cerca di futuro

Nel cuore della fraternità, l'accoglienza di ragazzi e bambini per tutti parole di speranza

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Il Sermig la casa dei giovani in cerca di futuro

Ernesto Olivero quando racconta la storia del Sermig, lo ripete sempre: è stato l’imprevisto accolto ad aver allargato la strada, ad aver trasformato un semplice gruppo giovanile in una realtà di bene che oggi abbraccia il mondo. L’imprevisto che entra in un volto, in una storia, in un problema, molto più banalmente in un campanello che suona. L’Arsenale della Piazza del Sermig qualche anno fa è nato così: i bambini di Porta Palazzo che giocano in piazza Borgo Dora, le loro mamme che come tutte le mamme si preoccupano. Qualcuna bussa all’Arsenale, si informa, chiede: «Ma perché non fate niente per i nostri ragazzi?».

Tra accoglienze e progetti in mezzo mondo, le cose da fare al Sermig sono molte, ma aprire le porte è un fatto naturale. L’Arsenale della Pace diventa così la seconda casa di oltre 200 bambini e ragazzi di 25 etnie diverse, ma dello stesso quartiere: Porta Palazzo, opportunità e contraddizioni concentrate in un pugno di strade. I volontari del Sermig si sono fatti in quattro per loro. Non bastava mettere a disposizione degli spazi, ma vita concreta, persone pronte a dedicare tutto il loro tempo a questa nuova missione. Le idee hanno fatto il resto: il dopo scuola per i compiti, i laboratori di musica e teatro, la palestra, le gite fuori porta, i gruppi di confronto, lo sport. Anche due squadre di calcio che oggi giocano nei campionati per dilettanti. Non sono semplici attività, ma occasione e pretesto per alimentare il dialogo, perché l’integrazione non è automatica, né cade dal cielo. È materia da artigiani, questione di testa e di cuore, al di là di strumentalizzazioni e ideologie.

È la spinta che ti fa vedere la realtà così com’è, ti fa capire che esistono muri tra italiani e stranieri e tra le stesse comunità. I bambini sanno andare oltre, ma non è scontato. All’Arsenale, tutto passa dalla disponibilità totale dei volontari e degli animatori e da alcune regole, come l’uso tassativo dell’italiano, perché chi vuole integrarsi deve amare il Paese di arrivo, i suoi valori, la sua Costituzione. L’integrazione nasce da un metodo, non dal buonismo, l’integrazione che nel silenzio comincia a germogliare. La vedi ogni giorno nei volti sereni di bambini di ogni età, di ogni colore, di ogni religione. Tranquilli, amici tra di loro, parte della stessa squadra. Bambini e ragazzi che ti guardano e con un sorriso ti dicono: «Bianchi o neri è uguale. Belli e brutti è uguale. L’importante è avere qualcosa di bello dentro». La discriminazione? «Non ce ne frega niente. Noi siamo come fratelli». Le ultime ultime bombe di pace del vecchio arsenale. 

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Giovani

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