Scuola-lavoro, scatta l'alternanza
Paolo Accossato e Giorgio Bruno, docenti a Valsalice, spiegano come la Riforma della scuola ponga l'accento sull'orientamento alle professioni: i ragazzi prima della maturità sono invitati a seguire 200 ore di stage prima di sostenere la maturità
Se sarà una Buona Scuola lo diranno i tempi con sentenza rimandata ai posteri. Per ora è una Nuova Scuola quella disegnata da Renzi con un pacchetto di riforme a dir poco epocale per quanto riguarda i Licei. In gergo tecnico è la Legge 107/2015 ma i Dirigenti Scolastici e i loro collaboratori la conoscono come “Alternanza scuola lavoro”, in pratica l’obbligo di svolgere parte della didattica fuori dalle aule scolastiche, come peraltro avviene già per gli Istituti Tecnici e i Centri di Formazione Professionale. In breve i termini e gli obblighi sono presto detti: nel Triennio dei Licei, a partire dal terzo anno dell’anno scolastico in corso, gli allievi dovranno svolgere nel triennio 200 ore complessive di “alternanza scuola lavoro” certificate e necessarie per l’ammissione all’Esame di Stato. Ad organizzare queste attività presso aziende, associazioni, istituzioni, uffici, studi di liberi professionisti… dovranno essere le singole scuole che concorderanno le tempistiche di svolgimento ed un piano personalizzato ad hoc per ogni studente con l’azienda, “il soggetto ospitante”.
Molte scuole si stanno organizzando in queste settimane per iniziare l’alternanza nel periodo estivo, immediatamente dopo la fine delle lezioni, altre sono già partite con una prima settimana in questi giorni. Nel pacchetto delle 200 ore da svolgere sono compresi corsi di formazione sulla sicurezza, corsi di orientamento e di introduzione al mondo del lavoro. Tutti i ragazzi approderanno all’Esame di Stato con una serie di esperienze utili, certificate e collegate al loro percorso di studio. Lo spirito della legge, infatti, non è quello di far imparare nell’immediato un mestiere a giovani che per la maggior parte dei casi (si tratta di liceali) si iscriveranno all’Università, ma quello di verificare sul campo le teorie apprese durante l’anno scolastico e soprattutto quello di “imparare facendo”. Per questo la stessa didattica tradizionale è chiamata a mettersi in gioco in modo da favorire le scoperte, le conoscenze che lo studente può maturare in attività lavorative, formative, laboratoriali. Fino al punto di riconoscere tale cammino di crescita dello studente con i voti.
Deve dunque esserci uno strettissimo legame tra le lezioni e lo “stage”, dunque tra le scuole e gli enti, le aziende del territorio: sia le une che le altre mettono a disposizione degli studenti dei tutor formativi per seguire il loro percorso. Un percorso pensato in modo che sia favorita la crescita di tutta la persona del giovane studente, oggi spesso fortemente a rischio di dolorose frammentazioni (“i miei fatti personali” – “i problemi della scuola” – “le preoccupazioni per il mio futuro”). Una “scuola viva” ha a cuore tutta la persona e le passioni del ragazzo. Ecco perché la legge, al di là delle difficoltà normative e burocratiche che nascono e delle critiche che si possono (e si devono) sollevare, può diventare un’occasione per la nostra scuola, in particolare per le molte “scuole vive” del nostro territorio che non vogliono separare l’istruzione dalla passione per la vita degli studenti. Sicuramente, dunque, le scuole paritarie sono in prima fila.
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