Adolescenti in prima pagina l’Italia si interroga
La riflessione del sacerdote da sempre impegnato in campo educativo
Un sedicenne che si getta dalla finestra, una diciassettenne che si lancia da un'auto in corsa, un ventiduenne che si butta sotto un treno. In una sola giornata si sono concentrati tre fatti di cronaca gravi e inquietanti, mentre è ancora forte lo shock provocato dai ragazzi di Ferrara che hanno ucciso i genitori.
La società degli adulti s’interroga. Coloro che sentono responsabilità educative non si danno pace. Che cosa si nasconde sotto quella strana patina, quella radiazione malinconica di fondo, che si legge in volto a molti adolescenti? Come interpretare lo strano distacco, la sensazione di anaffettività, l’impressione di vivere in un mondo a parte, che chi frequenta i giovani spesso avverte?
La riposta che si raccoglie con maggiore frequenza si concentra sulla fragilità degli attuali ragazzi. I commenti di numerosi osservatori europei vorrebbero scavare più in profondità. Leggono in tanti comportamenti giovanili una regressione culturale, lo svelamento del lato oscuro del progresso. Da una parte l’iperstimolazione della sensorialità, dall’altra l’inconsistenza dell’interiorità emozionale; l’accesso inaudito alla conoscenza e all’esperienza virtuale attraverso il web, e il dissolversi dei legami, la perdita della testimonianza educativa. Questa società ipermateriale, suggeriscono, sta togliendo la sensibilità, il radicamento interiore, il nutrimento dell’anima.
Sotto il consumo delle droghe o nel gioco d’azzardo patologico si nascondono temi che ci riguardano seriamente.
Insicurezza e fragilità
La rinuncia educativa produce almeno due effetti: l’insicurezza e la fragilità dei figli. Il primo è il timore di non farcela (il dolore della separazione; l'ansia davanti alle interrogazioni e ai compiti…). L'insicurezza è prevedibile: si chiede aiuto e ci si affida. Il secondo, invece, corrisponde alla sensazione del «rompersi senza preavviso», come il vetro. Fragili sono i ragazzi che non reggono e mollano, che si annoiano e rinunciano. Sono i bambini e i ragazzi, anche diligenti ma senza interessi. Sembrano estranei, altrove. Non mandano preavviso e non chiedono aiuto.
Un figlio cresce autonomo solo se si libera dall’immaginario che gli adulti hanno prodotto su di lui, solo se impara a scegliere di essere quello che ha ricevuto e obbedisce alla propria vocazione. Questo compito oggi è particolarmente impegnativo. Quanto più la società diventa complessa, tanto maggiore sono la fatica e il tempo che la crescita richiede. La società complessa aumenta le richieste ma i ragazzi si sentono sempre più inadeguati, a causa della precarietà dei legami.
L’amore di coppia diventa possessivo («Mi dai prove d’amore?»), l’amore genitoriale ansioso («Avrò fatto tutto il possibile per mio figlio?»), l’amore filiale arrendevole («Perché mi metti regole, non ti fidi di me?»).
Gli adulti devono dire la verità: la vita è dura. E lo sarà sempre di più. E quando il gioco si fa duro non c’è spazio per l’alienazione chimica (la modificazione artificiale dello stato mentale), per la fuga elettronica (l’istupidimento dei mondi virtuali), per la facile compensazione della gratificazione affettiva istantanea. Nel lungo percorso della formazione alla libertà e alla responsabilità, i genitori hanno un ruolo decisivo: non giustificano il figlio nei suoi sbagli, piuttosto sostengono la sua personalità che nella trasgressione rivela la sua fragilità. Offrono, così, spunti e strumenti per affrontare tipiche esperienze adolescenziali come la vergogna, la timidezza, la paura, i blocchi corporei e la disistima.
Il sano conflitto in casa abilita ad affrontare la realtà, stimola la competenza emozionale, induce risposte creative alle difficoltà della vita. La trasgressione, infatti, è spesso una sfida rivolta ai genitori per saggiare la convinzione dei loro motivi e la consistenza dei loro valori.
Bullismo, abuso di alcol, ricorso alle droghe sono problemi educativi, molto prima di essere comportamenti da consegnare alle aule dei tribunali o ai distretti militari.
Le gravi difficoltà dei ragazzi ad affrontare le comuni fatiche della vita vanno riportate a una condizione tecnologica mai avvenuta in precedenza: l’esposizione eccessiva all’esperienza virtuale. In essa avviene una vera cattura dell’attenzione che modifica la stessa sinaptogenesi, una vera modificazione del cervello. Il risultato, ben avvertito dagli insegnanti, è la caduta dell’attenzione che può peggiorare in patologia: il deficit dell’attenzione. La cattura dell’attenzione ha un’altra conseguenza deleteria. Videogiochi e web (anche i social) inducono grande dedizione e devozione, e richiedono investimenti di tempo ingentissimi. Possono diventare anche compulsione. Il loro danno più grave è il tempo rubato alle relazioni umane, particolarmente a quelle familiari. L’attaccamento nevrotico al virtuale sostituisce l’attaccamento sano ai genitori.
Insicurezza e fragilità, senso d’inadeguatezza e sentimento della vergogna hanno la loro causa nella liquidità dei legami. Senza la solidità affettiva la realtà fa più paura della morte. Senza la protezione dei legami si preferisce negare i problemi piuttosto che affrontarli. Basta poco per destabilizzare l’equilibrio dei ragazzi e portarli a scelte irreparabili.
In casa e fuori casa
C’è quindi molto da fare nell’educazione familiare. Ci vogliono paletti sull’uso delle tecnologie e sul tempo a esse dedicato. Occorre chiedere ai figli, il più precocemente possibile, di partecipare quotidianamente alla conduzione della casa (pulire, ordinare, cucinare). Il tempo strappato al telefonino e passato insieme è il primo rimedio alla fragilità. Sono utili tutte le proposte (sportive, artistiche, creative) che socializzano gli adolescenti, ma è illusorio che esse possano compensare l’«efficacia filiale» (il dialogo, la condivisione, lo stare bene in casa). Dopo l’infanzia dei figli, si aprono per i genitori nuovi orizzonti dellamaternità e paternità che richiedono una pedagogia dell’accompagnamento e dell’incoraggiamento della separazione. Questo distacco è doloroso e amaro come un abbandono, ma è l’unico modo per salvare la famiglia. Nel distacco, i legami familiari sono introiettati, «portati dentro», diventano compagnia interiore con la quale esplorare il mondo. Diversamente si finisce per ‘rimbambinire’.
Compito dei genitori, anche a costo di rabbiosi conflitti, è problematizzare il consumo delle droghe: studiare, inventare il lavoro, cavarsela in questa società (ma anche fare musica, sport, animazione) sono soluzioni incompatibili con le sostanze psicotrope. I genitori consapevoli non vogliono in alcun modo diventare complici di comportamenti dannosi: vietano di tenere droghe e farne uso in casa e negano il denaro per acquistarle.
C’è molto lavoro da fare però anche fuori casa. Ciò che fa crescere un adolescente non è solo l’affetto. Non bastano neppure le regole. Ci vogliono forme di vera iniziazione sociale. Servono occasioni e spazi in cui i ragazzi possano esprimere i loro talenti (non solo artistici e creativi ma anche di dono e di servizio) ed essere apprezzati dagli adulti.
Le produzioni culturali degli adolescenti, le loro narrazioni scritte o simboliche, le loro imprese sociali o di servizio, possono svolgere una funzione di prova di sé, suscitando l'ammirazione, stabilendo con gli adulti un ponte di comunicazione, perché essi diventino i testimoni finali del cambiamento e si compiacciano dell'avvenuto ingresso dei ragazzi nella maggiore età. Servono esperienze reali, dove sperimentare scoperte audaci, costruire ideali nuovi, maturare scelte coraggiose, per rispondere in modi autentici alle domande più profonde.
La violenza e l'abuso delle droghe, dipendenza dal gioco d’azzardo patologico e lo sballo dell’alcol vanno invece interpretati non tanto come fragilità o ricerca gratuita della trasgressione ma come muta ribellione e denuncia di un'assenza, di una profonda delusione (che sopra ho chiamato anaffettività) del non sentirsi chiamati e aspettati a dare il proprio contributo di creatività e fantasia.
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