C’è bisogno di laureati. E di diritto allo studio
Un riflessione sul ruolo della scuola e della formazione per la società italiana e piemontese del futuro

Anche quest’anno la tendenza è confermata. I dati delle iscrizioni alle scuole superiori dicono che la maggioranza degli studenti italiani sceglie i licei e sempre di più: negli ultimi 5 anni si è passati dal 49,1 al 54,6%. Gli istituti tecnici continuano la loro leggera flessione - dal 31,4 al 30, 3% - ma tengono; più netta quella degli istituti professionali - dal 19,6 al 15,1% - riflesso delle difficoltà che questi indirizzi, più degli altri, incontrano a rinnovarsi.
Il Piemonte si allinea al trend nazionale, ma mantiene una quota superiore di preferenze per gli istituti tecnici, che nel nostro territorio godono di solida tradizione.
Come valutare questi orientamenti, pensando sia al futuro dei ragazzi sia all’interesse generale della società italiana? In questi anni di crisi è diventato un luogo comune criticare la «licealizzazione» della scuola. Molti affermano che, non fornendo competenze immediatamente spendibili sul mercato del lavoro dopo il diploma e orientando invece naturalmente all’università, gli indirizzi liceali rappresentano per molte famiglie una scelta azzardata: invece di sostenere l’aspirazione di promozione sociale che ne è all’origine, finisce di danneggiare i ragazzi, esponendoli a un futuro di maggiore incertezza, testimoniato dagli elevatissimi tassi di disoccupazione giovanile. Meglio, dunque, abbassare le ambizioni e imparare un mestiere.
Se si possono capire le ragioni di chi vuole dare anche ai giovani più deboli qualche concreta prospettiva di lavoro, in generale, però, l’argomento non convince: non è confermato dai dati e sembra viziato da una visione miope del futuro collettivo.
Sul primo punto, è vero che la crisi ha aumentato la difficoltà a trovare lavoro tanto per i laureati quanto per i diplomati, come pure che in Italia le differenze di retribuzione fra gli uni e gli altri si sono assottigliate. Però, i laureati continuano ad avere percentuali di occupazione superiori ai diplomati e le loro prospettive di carriera e crescita del reddito nel corso della vita restano - nonostante tutto - significativamente superiori.
Sul secondo punto, bisogna davvero ancora ripetere che le speranze di benessere dell’economia e della società italiana dipendono dalla creazione di un capitale umano più qualificato? E che un giovane senza competenze complesse, soprattutto nei saperi scientifici e tecnologici – nostro antico tallone d’Achille – ma anche trasversali e flessibili, avrà difficoltà a cavarsela in un mercato del lavoro senza più confini nazionali e poco generoso con chi, pur avendo appreso un mestiere, non è però capace di rinnovarlo tenendo il passo svelto dell’innovazione?
Non c’è discussione: l’Italia ha bisogno di più laureati e oggi resta agli ultimi posti in Europa.
Se questo è l’orizzonte, la scelta del liceo va in tale direzione e crediamo nei prossimi decenni pagherà in termini sia di vantaggio per chi oggi la fa sia di bene comune. Deve, però, essere sostenuta, soprattutto quando a compierla è chi proviene da un ambiente meno avvantaggiato. Qui, purtroppo, sta il vero problema: la nostra spesa pubblica in istruzione terziaria è fra le più basse dei paesi Ocse. Come testimonia il crollo delle immatricolazioni degli ultimi anni, solo ora in leggera inversione, le famiglie hanno spesso dovuto rinunciare a proseguire il proprio investimento nell’istruzione dei figli, per nulla aiutate da un diritto allo studio che in Italia mette a disposizione di chi ha qualità e talento, ma pochi mezzi, risorse non degne di un paese sviluppato.
* Fondazione Giovanni Agnelli
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