Reggere lo sguardo di Antony
Oltre la cronaca, spaventosa e angosciante, la vita di un bimbo
Quel bimbo di cinque anni ci guarda tutti e ci chiede: perché. L’hanno trovato raggomitolato su se stesso in una delle rientranze metalliche del treno. Piangeva a dirotto, pallido come un cencio, freddo come una pietra, come d’inverno si battono i denti per il gelo. Piangeva e apriva quei suoi occhioni gonfi d’abbandono.
L’hanno trovato alle 7.20 i poliziotti al Brennero. C’erano meno di cinque gradi e lui la notte l’aveva passata lì sul pianale di un carro che trasporta tir.
Con lui nessuno. Tra i vagoni dove spesso, dopo aver tagliato i teloni s’infilano profughi e disperati che sognano l’Austria e la Germania, nessuno.
Lui, solo e la luna.
Si chiama Antony. È arrivato dalla Sierra Leone. Come non si sa. Forse è uno di quei 15mila bambini che i genitori affidano alla fortuna, sperando che il buon Dio li assista, per strapparli a fame e, nel caso di Antony, alle bombe, alla fame, alle guerre. «Ha rischiato di morire».
Ora è in ospedale a Bolzano. Mangia piano piano e torna a sorridere. Non sa nulla degli sbarchi, delle ong, della Libia, della Turchia. Non sa nulla di nulla. Cerca sua madre e suo padre, come è naturale.
Quel bimbo di cinque anni, trovato per caso la vigilia della Giornata dei Poveri voluta da Papa Francesco, ora, deve turbare i sonni e i sogni a tutti noi.
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