L'islam ripensi alla propria storia

Intervista a don Tino Negri, direttore del centro«Peirone» di Torino, dopo gli attentati di Bruxelles: «Un fenomeno moderno, ma che ha radici antiche»

Parole chiave: bruxelles (11), attentati (7), Isis (33), jihad (4)
L'islam ripensi alla propria storia

«Non si può dire che questo terrorismo sia figlio di nessuno: questo terrorismo nasce all’interno di una certa lettura dell’islam. È un fenomeno moderno, ma che ha radici antiche e attraversa la storia dell’islam. Per contrastarlo, la cultura islamica può fare molto, innanzitutto dare una lettura diversa dei testi e di alcuni capitoli della storia dell’islam».

Così risponde in una intervista pubblicata dal «Nostro tempo» sui tragici fatti di Bruxelles, il professor don Tino Negri, che dirige il centro «Federico Peirone» di Torino, uno dei centri più accreditati in Italia per lo studio dell’islam e le relazioni islamo-cristiane. Il prof Negri ha viaggiato molto nei Paesi arabi, ha condotto specifiche ricerche sui gruppi dell’islam politico e militare: da Hezbollah (il «partito di Dio» libanese), ai Fratelli musulmani egiziani (messi fuorilegge, dopo aver vinto le elezioni, dal general Al Sisi), ai partiti radicali marocchini come Al Adl wa al Ihsane («Giustizia e carità»), anch’esso praticamente fuorilegge in Marocco. «Oggi i salafiti e i gruppi jihadisti accusano l’Occidente di influenzare i governi e i capi di Stato sull’applicazione della sharia. Per l’Isis e tutto il salafismo non solo o non tanto l’Occidente “cristiano” va combattuto, quanto i musulmani ritenuti indegni o “eretici”. Da qui deriva anche lo scontro fra sunniti e sciiti e all’interno dello stesso sunnismo».

Che cosa può fare la cultura islamica di fronte a questa violenza?

La cultura islamica può fare molto, innanzitutto dare una lettura diversa dei testi e di alcuni capitoli della storia dell’islam. C’è stata recentemente la lettera di Al Azhar (la più importante università islamica, che è a Il Cairo, ndr) ai capi dell’Isis. Leggendola attentamente si vede come mette soprattutto in discussione il modo di fare la guerra: ad esempio le violenze contro i dhimmi (le genti del libro cristiani ed ebrei), contro i bambini. Ma io faccio loro una domanda: la religione è qualche cosa che si deve occupare direttamente della guerra? Tutto l’islam, a iniziare dai suoi centri di cultura, deve porsi questa domanda.

Ci sono state altre iniziative importanti di riflessione?

Il re del Marocco ha riunito molti ulema per discutere dei problemi legati alla cittadinanza dei cittadini non musulmani negli stati musulmani, in particolare cristiani ed ebrei. Si sono posti la domanda se in un mondo globale lo stato deve diventare più pluralista. Ma io mi domando: se lo sono chiesti solo per il Medio Oriente o vale dappertutto? E la religione deve essere un discriminante per la cittadinanza o no? Può uno Stato che si dichiara islamico affermare l’uguaglianza della cittadinanza? È importante che ci si sia posti queste domande, ma i frutti non si vedranno in pochi mesi bensì in un periodo più lungo.

Quindi serve innanzitutto una riflessione interna…

Sì, bisogna che l’islam rifletta seriamente e autorevolmente su sé stesso, a partire dalla scuola, dove va insegnato un islam diverso.

Perchè l’Italia finora è stata immune dal terrorismo?

L’Italia è più defilata nell’impegno contro l’Isis, è meno esposta. E poi qui siamo alla seconda generazione di musulmani, non alla quarta come in Francia, con rilevanti problemi sociali. La rete italiana del jihadismo è meno estesa e organizzata. Da noi l’islam è ancora giovane. È merito della nostra intelligence, in parte sì, ma contano anche altri fattori.Teniamo conto che il primo luogo di attrazione alla lotta armata non è la moschea ma la rete, il web. La predicazione radicale in moschea non è l’inizio, semmai l’approdo.

Ma ci sono anche da noi moschee di tendenze salafite più radicali?

Certo, ma sono meno numerose. E penso che l’intelligence le tenga d’occhio

leggi l'intervista completa su il nostro tempo di domenica 27 marzo

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