Haiti, coraggio e speranza
Incontro con il giornalista Gotson Pierre, a cinque anni dal terremoto che ha sconvolto l’isola caraibica. «La società civile, dopo il sisma, si è rianimata, la catastrofe ha fatto scattare una straordinaria volontà di collaborazione. Ma lo Stato sembra non assecondare questo sforzo. E non c’è chiarezza sull’impiego dei fondi per la ricostruzione»
«Quanto ci vorrà ancora per poter dire di essere tornati alla normalità? Non lo so. Ci vorrà del tempo, certamente. Molto dipenderà dalle condizioni socio-economiche generali e dal ruolo che intenderà giocare la politica. Nel mio Paese, recentemente, ci sono state ripetute proteste contro la mancata convocazione delle elezioni, che attendiamo dal 2011. Le responsabilità di chi ci governa sono gravi, molti, in piazza, hanno chiesto le dimissioni del presidente, Michel Martelly, e del primo ministro. Sì, ci vorrà tempo. Ma io sono fiducioso: dopo il sisma, la mobilitazione della società haitiana è stata ammirevole. Si è risvegliata la partecipazione popolare. E lo Stato, prima o poi, dovrà rendersene conto».
Sono trascorsi quasi cinque anni da quel tragico 12 gennaio 2010, quando un terremoto devastante di magnitudo 7.0, con epicentro localizzato a circa venticinque chilometri da Port au Prince, ha raso al suolo la capitale dell’isola caraibica, uccidendo oltre 220 mila abitanti, provocando più di 300 mila feriti e lasciando un milione e mezzo di persone senza casa, senza cibo, senza nulla. Testimone privilegiato della catastrofe che si è abbattuta sul proprio Paese, il giornalista Gotson Pierre, premiato nel 2014 da Reporter senza frontiere come «eroe dell'informazione» per il suo impegno in difesa dei diritti del popolo haitiano attraverso il network Groupe Médialternatif, l’agenzia stampa e il centro di produzione di cui è direttore.
Quando le strade di Port au Prince erano ancora sommerse di macerie, Pierre ha dato vita al Telecentre, una struttura mobile composta da una dozzina di computer, connessi tra loro, che ha permesso agli sfollati dei sei campi profughi creati nei dintorni della capitale di scambiare informazioni sulle vittime, sui dispersi, sulle conseguenze del sisma e sulla distribuzione degli aiuti umanitari. «Ho cercato, fin da subito, di far capire alla gente come stavano le cose», ha detto il giornalista a Torino, dove è giunto per una serie di incontri, «l’informazione ad Haiti ha contribuito, anche in passato, a scuotere le coscienze e a favorire la democrazia»
leggi l'articolo completo su «il nostro tempo» di domenica 14 dicembre
Attualità
archivio notizie
La biblioteca personale di Carlo Donat-Cattin
La riunificazione di migliaia di volumi per continuare a studiare, vita, pensiero e azione politica del leader democratico cristiano in vista del centenario della nascita
Meditazione sul Crocifisso
La riflessione dello psichiatra e psicoterapeuta per il Venerdì Santo 2016. Perchè interrogarsi fino in fondo
Chiesa e mass media, un'alleanza necessaria
Parte il Master di Giornalismo voluto da mons. Nosiglia per operatori pastorali e della comunicazione