G20 ad Amburgo: pochi passi avanti e molta confusione
In Germania il summit non ha portato a grandi decisioni. Trump isolato, l'emergenza migranti senza risposte. Proteste di piazza e scontri dei no-global con la polizia

Chi guarda la tradizionale foto di famiglia dei Padroni del mondo, riunitisi nei giorni scorsi ad Amburgo per il G20 sotto presidenza tedesca, crede di vedere signori cortesi e sorridenti che, se vestiti con meno eleganza, potrebbero essere reduci da un simpatico picnic tra amici di lunga data. Niente o poco di tutto questo. Molte sono le facce nuove, qualcuna ha ancora i tratti tirati di chi ha discusso duro, altri il sorriso rassegnato di chi in quella combriccola conta poco o niente e non può che mandare giù. Guardando meglio quelle facce, balza subito agli occhi che, della famiglia planetaria, mancano i parenti poveri, quelli che in dote porterebbero ricchezze nazionali troppo modeste, spesso inferiori ai patrimoni delle multinazionali, per potersi sedere al tavolo dei Grandi.
Tra questi ultimi spiccano i governanti di Cina, India, Russia, quelli dei Paesi UE, se parlassero a una voce sola, e l'improbabile criniera giallo paglia del presidente USA. Questi signori hanno appena discusso del futuro del mondo: di pace e guerra, di commercio internazionale, di lotta al surriscaldamento climatico e di migrazioni. Obiettivo dichiarato quello di mettere mano al disordine del mondo e accrescerne il benessere, senza che ne siano chiari i beneficiari, se i pochi Paesi ricchi o i molti Paesi poveri. Ancora una volta, dopo quasi vent'anni di riunioni del genere, i risultati sono più che modesti.
Per la Siria, devastata da una lunga guerra civile, un'intesa russo-americana per un tardivo cessate il fuoco su macerie fumanti; sul commercio internazionale un ambiguo e fragile compromesso sul libero scambio, ma fatti salvi i sacrosanti confini nazionali per arginare le invasioni di produzioni straniere; per l'impegno sul clima la presa d'atto che gli USA ritirano la loro firma dall'Accordo di Parigi del dicembre 2015, che la Turchia tende a sfilarsi e la conferma che gli altri 18 Paesi rispetteranno i patti sottoscritti, come dovrebbe essere scontato per governanti seri e non improvvisati.
Forse più deludenti ancora gli orientamenti per un governo coordinato dei flussi migratori: ognuno pensi ai propri confini e li protegga come può. Un disimpegno così indecente che persino il mite Gentiloni è stato costretto a dichiararsi insoddisfatto e a denunciare la solitudine dell’Italia, alle prese con una solidarietà non condivisa dai suoi partner europei, Francia di Macron compresa. E a poco sono servite le molte manifestazioni di protesta civile, come al solito avvelenate da azioni violente: rinchiusi nei palazzi i Signori del mondo hanno fatto orecchi da mercante, mestiere nel quale eccellono. A ben vedere la messinscena di Amburgo però a qualcosa è servita: a svelare qualcosa dei riposizionamenti geopolitici con i quali Russia e USA, nonostante reciproche irrisolte tensioni, convergono nel tentativo di mettere alle corde l'Unione Europea, la quale cerca di uscire dall'angolo lavorando a due importanti intese commerciali di libero scambio con Cina e Giappone, nel tentativo di isolare Trump, trasformando la sua “America first” in “America last”, con la prospettiva di cambiare gli equilibri tra Occidente e Oriente.
Per chi non se ne fosse ancora accorto, la stagione della leadership mondiale americana, consolidatasi dopo la Seconda guerra mondiale, volge al termine e altri attori, come Cina e Russia tra gli altri, vengono avanti intenzionati a non fare sconti a nessuno.
L'Italia, che a questi sconvolgimenti in corso, assiste da spettatrice farebbe bene a darsi una regolata e provare a scendere sul campo di gioco, anche in un ruolo modesto, per non dovere continuamente subire il gioco degli altri.
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