Lo sciopero non serve, ripartiamo tutti insieme parla la leader della Cisl
Intervista al segretario generale Annamaria Furlan le sue ricette contro la crisi: «Contraria al salario minimo, legge Fornero da riformare, investire in ricerca, in infrastrutture e nella lotta all’evasione»
«Il Paese ha perso in sei anni il 25 per cento della sua capacità produttiva, migliaia di azienda sono state chiuse, altre si sono salvate grazie agli accordi di solidarietà. Di fronte ad una situazione tanto drammatica non basta una giornata di sciopero generale, ma occorre che governo e parti sociali facciano un patto per uscire dalla crisi. Per questo non ci limitiamo a contestare la Legge di stabilità o il Jobs act, ma proponiamo un piano per tornare ad essere competitivi e attirare gli investimenti nazionali ed esteri. Per far ripartire il Paese occorre anche ricostruire coesione e dialogo». Dall'ottobre scorso Annamaria Furlan è il segretario generale della Cisl. E con lei abbiamo voluto affrontare le principali questioni economiche e sociali in agenda.
Quali sono le vostre proposte?
Per noi tutto parte da una premessa: non è pensabile che la nostra competitività, di Paese avanzato quale è l'Italia, si giochi unicamente sul costo del lavoro piuttosto che sulla qualità di processo o di prodotto. C'è dunque la necessità di investire in infrastrutture materiali e immateriali, ricerca, innovazione e conoscenza, impiegando quelle risorse che possono provenire da una più serrata lotta all'evasione fiscale e a quella contributiva, stimate rispettivamente in 150 e 70 miliardi annui. Recuperare quelle cifre, o almeno parte di esse, significa poter disporre di fondi da destinare allo sviluppo. Poi, certamente, bisogna anche agire sui diversi fattori che concorrono a ridurre la nostra competitività.
Proviamo a elencare alcuni di questi fattori…
Intanto è necessario dotarsi di un piano energetico che riduca il costo dell'energia, oggi del 30 per cento superiore rispetto ai nostri concorrenti. Va poi colmata la notevole carenza di infrastrutture che affligge in particolare il Mezzogiorno, dove abbiamo una rete ferroviaria inadeguata con lunghi tratti a binario unico e in molti casi priva dei necessari collegamenti. In queste condizioni i costi legati ai trasporti delle merci e alla logistica diventano proibitivi. Un contributo alla crescita va chiesto anche al mondo del credito. Le banche hanno acquistato dalla Bce centinaia e centinaia di milioni di euro, ma ben poche di queste risorse sono state erogate alle imprese e alle famiglie. Ci vuole una legge che, una volta per tutte, distingua tra banche commerciali e banche d'affari, con le prime dedite a supportare il nostro apparato produttivo, un tessuto per lo più costituito da piccole aziende che oggi boccheggiano.
leggi l'intervista completa su Il nostro tempo del 21 dicembre
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