Emergenza "Neet", proviamo con le imprese giovani
Il rischio di "bruciare" una generazione e perdere terreno nel mercato globale
«Not in Education, Employment or Training»: individui che non stanno ricevendo un'istruzione, non hanno un impiego né svolgono altre attività assimilabili, come tirocini, lavori domestici, etc.
Il dramma che i cosiddetti «Neet» vivono sarebbe già inaccettabile se riguardasse solamente loro stessi. Rischia invece di costituire un grave handicap per il sistema Paese, per le nostre imprese e per la loro competitività. Una moltitudine di giovani, oggi 2,5 milioni circa (fonte: Istat), rischia di arrivare all'età matura senza aver seguito un percorso formativo coerente, una esperienza di lavoro continuativa, una qualsivoglia formazione professionale. Il rischio è che tra tre lustri il Paese si trovi con una generazione di quarantenni che non avrà mai imparato a lavorare in contesti organizzati, che avrà vissuto di precariato e di conseguenza difficilmente avrà conseguito le professionalità indispensabili per competere, sia a livello individuale, sia a livello di sistema. I loro «concorrenti» saranno di dieci, quindici anni più giovani e senza dubbio più appetibili per le imprese.
Oltre che con il dolore per lo «spreco» di una generazione, il Paese dovrà quindi confrontarsi con il dramma di milioni di lavoratori giunti ormai in età matura non adeguatamente formati e mai pronti ad un inserimento attivo e definitivo nel mondo del lavoro.
La scarsa competitività del nostro sistema Paese, che da un decennio perde punti nei confronti dei principali partner e concorrenti, non potrà che risentire di questa situazione, sia che questi milioni di individui restino fuori dal sistema produttivo e sopravvivano grazie a costose politiche di welfare, sia che riescano finalmente ad entrarvi (se non altro per turn over fisiologico). In questo caso infatti è legittimo attendersi che la loro produttività, che per età anagrafica dovrebbe essere ai livelli massimi della vita lavorativa, sia invece inferiore di lavoratori relativamente «anziani» ma non formati sia drammaticamente inferiore alle attese ed alle necessità delle imprese. In entrambi i casi questa generazione «sprecata» sarà un ostacolo nel recupero di competitività del sistema Paese che è imprescindibile per mantenere l’attuale benessere conquistato a prezzo di dure fatiche e già in declino.
Per questo è essenziale che vengano prese misure tese a favorire in tutti i modi possibili l'inserimento dei giovani nel mondo del lavoro; azioni come la decontribuzione delle nuove assunzioni o la Garanzia Giovani ed il relativo superbonus, ancora tutto da scoprire, vanno a mio avviso nella giusta direzione. Allo stesso modo vanno valutate positivamente innovazioni come l’alternanza scuola-lavoro, che potrà «far respirare aria di azienda» ai giovani fin dall’età scolare.
Nei prossimi anni, compatibilmente con i vincoli di bilancio, occorrerà mettere tutte le (poche!) risorse disponibili al servizio di questo problema, per alleviare una difficoltà presente ma soprattutto per tentare di evitare un disastro futuro. Non bisogna perdere però di vista il fatto che, quando i numeri sono così grandi, le cause del problema sono necessariamente strutturali: vanno cercate quindi nel modo in cui è strutturata la società. Le politiche e gli interventi appena citati, per quanto indispensabili, non possono sostituirsi ad una azione di tutte le forze socialmente attive (inclusa, credo, la Chiesa Cattolica) tesa a creare un contesto in cui tutti possano studiare, lavorare e vivere pienamente la cittadinanza di un Paese che ha scelto di essere una «Repubblica democratica, fondata sul lavoro».
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