Mosul liberata: caduta la capitale del Califfato
Una battaglia durata nove mesi che si conclude fra dubbi e incertezze tra i fratelli cristiani

Mosul è stata liberata. L’antichissima città di Ninive, citata nella Bibbia e rinominata Mosul dagli arabi musulmani, è tornata sotto il controllo delle forze governative irachene, dopo 3 anni di occupazione del Califfato Islamico. Haidar Al-Abadi, Presidente iracheno ha annunciato ieri la liberazione della città con un annuncio televisivo: a Baghdad la folla è esplosa in festeggiamenti con musica, balli e canti.
Nel 2003 gli Stati Uniti pensarono di esportare alcuni fondamenti democratici attraverso una guerra di “liberazione” dalla dittatura del regime baathista di Saddam Hussein; la vittoria militare non fu difficile, essendo l’esercito iracheno male organizzato, ma quando venne il momento di governare l'Iraq il Paese sprofondò in un’anarchia totale e nel terrorismo di gruppi fanatici ben organizzati come Al Qaeda.
Gli americani si ritirarono nel 2011 pensando che l'Iraq avrebbe costituito un solido caposaldo della presenza Usa nella regione, lasciando però terreno fertile per ciò che sarebbe successo poi 3 anni dopo. Nel 2014 l'Isis, costituito da jihadisti sunniti ed ex ufficiali baathisti, sbaragliò l'esercito di Baghdad, rifornito di armi americane, impadronendosi di Falluja, di Ramadi e di Mosul, la seconda città del Paese.
Falluja e Ramadi vennero riconquistate dopo pochi mesi, mentre per Mosul ci vollero 3 anni, 9 mesi di combattimenti e un’offensiva su larga scala durata 5 mesi. Proprio qui, a Mosul, Al-Baghdadi dichiarò la nascita del califfato nel 2014.
L’esercito regolare sembra ancora impegnato in combattimenti nel centro di Mosul per eliminare le ultime sacche di resistenza dell’Isis. Secondo fonti militari sono più di 50 gli edifici ancora controllati dai jihadisti. Alcuni di loro hanno con sé le famiglia, ma si teme la presenza di molti altri civili che non sono riusciti a fuggire nelle fasi iniziali della battaglia. Le operazioni delle forze governative irachene proseguono però a rilento, poiché devono essere svolte opere di bonifica nelle aree riconquistate dove sono state installate numerose trappole esplosive dai jihadisti in ritirata.
La situazione umanitaria è disperata, secondo fonti locali la Città vecchia è quasi completamente distrutta e i militai iracheni affermano che al suo interno potrebbero trovarsi ancora circa 15 mila civili. 750 mila quelli messi in fuga da febbraio, inizio dell’offensiva.
Il premier iracheno ha invitato gli abitanti a tornare alle loro abitazioni. In quell’area vi è una modesta presenza di cristiani, che dal campo per sfollati di Erbil (dove vi è una considerevole concentrazione di essi) hanno accolto con favore la notizia, anche se il sentimento prevalente è quello della prudenza mista a preoccupazione.
La motivazione è semplice: “il problema nasce intorno a quelle famiglie e a quelle persone che hanno aiutato l’Isis durante questi anni di occupazione. Si tratta di musulmani con i quali molti cristiani erano amici e dei quali oggi si fa fatica a fidarsi.” Afferma all’agenzia Sir, Benham Benoka, sacerdote siro-cattolico molto attivo fra gli sfollati cristiani. Servirà tempo per ricostruire fiducia e sicurezza, e per questo motivo occorrono anche delle garanzie che tutelino queste minoranze.
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