Popolo indigeni: la sfida continua
Il gemellaggio tra Torino e i popoli della Foresta Amazzonica nell'incontro alla Consolata
Sabato 11 giugno, nell’ambito della manifestazione “San Salvario ha un cuore verde”, di fronte a un folto pubblico con la presenza di molti giovani, si è svolto un incontro con fratel Carlo Zacquini e con padre Corrado Dalmonego, Missionari della Consolata, eroici difensori della causa del popolo Yanomami a Catrimani, nell’Amazzonia brasiliana a Roraima. L’incontro è stato organizzato dalla collaborazione del “Comitato Roraima ONLUS” con “Soconas Incomindios” e “Tamburi Parlanti”.
Fratel Carlo Zacquini ha ricordato le enormi sofferenze e i soprusi patiti dal popolo Yanomami da parte dei bianchi invasori, soprattutto cercatori d’oro, grandi allevatori di bestiame, e industrie del legname. Ha ricordato le stragi di indigeni avvenute per il contatto con i bianchi, da cui sono stati contagiati da malattie anche banali contro cui essi non avevano difese immunitarie. Ha detto fratel Carlo: “La mia angoscia era non solo non avere vaccini per impedire queste epidemie, o per il fatto che i vaccini mi venissero forniti scaduti dal Governo, ma di non sapere come diffondere le notizie di questo genocidio in atto, perché allora per mandare una lettera in Europa occorrevano mesi e mesi. Ma ora la situazione è ancora gravissima perché migliaia di cercatori d’oro continuano a invadere le terre Yanomami, inquinando anche i fiumi con i derivati mercuriali da essi impiegati per estrarre l’oro. Le autorità non prendono nessun provvedimento contro questa invasione. L’ultimo governo del Brasile ha più volte violato la Costituzione occupando le terre indigene per la costruzione di inutili e dannose centrali idroelettriche. Radio, TV e giornali continuano a non parlare del mondo indigeno o a presentarlo in maniera deturpata. La vecchia accusa è che c’è troppa terra per pochi Indios, dimenticando che gli indigeni sono i veri custodi dell’ecologia della foresta, e che la povertà del resto del Brasile è invece dovuta al fatto che il 4% della popolazione più ricca possiede il 96% delle terre”. Ha concluso fratel Carlo: “La vergogna è che la maggioranza degli invasori sono cattolici, che escono dalle chiese quando sentono parlare di Indios”.
Padre Dalmonego è intervenuto soprattutto sulla sfida che i giovani indigeni pongono alla Chiesa e a chi vuole difenderli. Il 50% degli Yanomami ha meno di 14 anni. Il conflitto è tra mantenere la loro cultura e i valori tradizionali e la loro sete di aprirsi alla conoscenza del mondo occidentale, affascinati dalle sue tecnologie. Spesso manca autostima e autocoscienza. Un giovane indigeno diceva: “La mia lingua è sporca per il dialetto che parlo”, vergognandosi di parlare yanomami. Ma, secondo padre Corrado, “talora imparare è devastante, perché si tratta di una acculturazione forzata”. Ecco allora la difficoltà di una scuola che valorizzi le culture tradizionali e che al contempo apra alla conoscenza del mondo intero, senza diventare destabilizzante. “La scuola – ha affermato padre Dalmonego - deve servire essenzialmente per difenderli dai politici, e per dare loro i mezzi per contrastare un’invasione costante e pericolosa”. Infatti quando gli Indios arrivano nella grande città per studiare vengono in genere insultati ed emarginati. “I bianchi li trattano da pezzenti, li disprezzano, li costringono a una vita indegna, di accattonaggio e di elemosine”.
Lo scontro tra la loro cultura e quella occidentale non produce soltanto conflitti tra gli anziani e i giovani dei villaggi, ma anche all’interno delle stesse persone: talora anche gli indigeni più sensibilizzati vivono una dissociazione tra l’ideale di conservare le loro tradizioni e una prassi che si lascia condizionare dallo stile occidentale. Per la prima volta anche tra gli Yanomami si è verificato il triste fenomeno già presente in altre etnie indigene, come quella dei Guaranì, del suicidio da disadattamento: una ragazza di 14 anni si è impiccata perché voleva recarsi nella grande città, abbandonando il villaggio familiare. “Occorre allora – afferma padre Corrado - non preservare la cultura in maniera statica, ma aprirla al nuovo in maniera graduale per permettere una maturazione critica e omogenea. Missione è aprire porte e finestre su tutto il mondo, per far entrare e uscire le persone. Ma occorre crescere nella coscienza valorizzando il passato. Perché un incontro troppo accelerato di culture può trasformarsi un grande scontro”.
La serata si è conclusa con l’auspicio che il mondo occidentale si apra ai valori apportati dalle culture indigene sia in campo antropologico che sociologico che ambientale. Come ha detto Papa Francesco parlando agli Indios: “Voi avete molto da insegnarci, da insegnare all’umanità…! Il mondo di oggi, spogliato dalla cultura dello scarto, ha bisogno di voi!”.
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