Funerale don Aldo Rabino, l'omelia di mons. Nosiglia

Improvvisa morte a Maen del salesiano torinese, fondatore dell'Operazione Mato Grosso

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Funerale don Aldo Rabino, l'omelia di mons. Nosiglia

La notte del 17 agosto è morto improvvisamente per un infarto don Aldo Rabino. Si trovava in Val d'Aosta, a Maen di Valtournenche, all'Oasi, la struttura per vacanze, ritiri, campi sportivi e di lavoro di cui egli stesso è stato fondatore. Nato a Torino nel 1939 era stato ordinato sacerdote salesiano nel 1968, dopo una gioventù da promessa del calcio. Dal 1971 era stato per 44 anni il cappellano ufficiale del Torino Calcio. Messaggi di cordoglio sono stati diffusi dal sindaco Piero Fassino e dall'arcivescovo Cesare Nosiglia che presiede i funerali giovedì 20 agosto alle 10.30 nella basilica salesiana di Maria Ausiliatrice (testo dell'omelia qui in calce).

Per don Rabino la squadra era quasi una parrocchia: le domeniche in cui i calciatori non erano in trasferta don Aldo celebrava la messa con loro e lo staff. In varie occasioni incrociava la vita degli sportivi, cominciando dagli aspetti più concreti, da quella «catechesi dei piccoli gesti» imparata alla scuola di don Bosco. Ogni 4 maggio, tra i tanti impegni a fianco dei granata, celebrava la messa di suffragio per le vittime della tragedia di Superga.

Una presenza discreta ma tenace, la sua. Nel 1968 rientrato da un’esperienza di volontariato in America Latina ed impressionato dalle estreme condizioni di povertà in cui viveva tanta gente, decise di fondare il gruppo Operazione Mato Grosso di Torino. L’intento era quello coinvolgere giovani e adulti, chiamati a mettersi in gioco in prima persona per aiutare i poveri. Parallelamente all’attenzione per le missioni, nei ragazzi del gruppo O.M.G.- OASI, nacque il desiderio di far qualcosa per i bambini che non potevano permettersi di andare in vacanza oltre il cortile dell’oratorio salesiano di Borgo San Paolo, a Torino, dove Don Aldo era di casa.

Nell’estate del 1971 si concretizzò a Fenestrelle la prima colonia gratuita per questi bambini, nello spirito di servizio e di attenzione a chi ha bisogno. L’esperienza si ampliò per rispondere alle sempre più numerose richieste. Dall’esigenza di avere un riferimento certo e continuativo nacque il centro OASI di Maen. L’impegno di don Aldo per educare i giovani ad uno sport pulito si concretizzo nel centro sportivo Laura Vicuna di Rivalta. Una struttura sportiva di prim’ordine che offre la possibilità di attività ludiche e sportive con possibilità di accoglienza anche notturna. «Un’opportunità – diceva don Aldo - di crescere e di educarsi ai valori più belli che lo sport ed il tempo libero offrono: lealtà, obbedienza, rinuncia, fedeltà agli impegni, rispetto per i vinti, altruismo, fraternità, attenzione reciproco, gioco corretto, perdono, senso della giustizia".

L'OMELIA DI MONS. NOSIGLIA AL FUNERALE
Come primo pensiero di questa omelia desidero richiamare alcune
espressioni di Papa Francesco pronunciate a Valdocco, relative ai
salesiani di cui don Aldo è stato un confratello amato e stimato,
perché ha vissuto nello spirito di San Giovanni Bosco il suo carisma
per e con i giovani, per e con i poveri. Ha detto papa Francesco:
“Della forte esperienza che ho fatto da giovane con i salesiani
ringrazio Dio, perché mi hanno aiutato a crescere senza paura, senza
ossessioni. Ad andare avanti nella gioia, nella preghiera. Il vostro
carisma è di un’attualità grandissima. Guardate le strade, guardate i
ragazzi e fate decisioni rischiose. Non abbiate paura. Come ha fatto
Don Bosco. Vi ringrazio tanto di quello che fate nella Chiesa e per la
Chiesa. Vi ringrazio tanto per la vostra missionarietà che fa parte
del carisma. E vi ringrazio della vostra concretezza delle cose… Il
salesiano è concreto, vede il problema, ci pensa e lo prende in mano”,
con generosità estrema e intelligenza, amorevolezza. Credo che queste
parole si adattino perfettamente alla persona di don Aldo e voi tutti,
cari giovani, responsabili sportivi, allenatori ed educatori e membri
dell’associazione “OASI - Operazione Mato Grosso”, che lo avete
conosciuto e amato, potreste confermarlo con mille episodi concreti
della sua vita. L'esistenza di don Aldo, si è spesa interamente in
questi "vivai", segnata dalla coltivazione appassionata dei giovani
nelle squadre del Torino calcio, negli Oratori salesiani e in mezzo ai
volontari dell'associazione.

L’apostolo Paolo, nella prima lettura, ci ha detto che senza l’amore
di Dio gratuito, disinteressato e potente per ogni sua creatura, non
serve a niente possedere anche tutto il mondo, avere la pienezza della
scienza e della sapienza, persino della fede e di una generosità senza
limiti. Se manca l’amore, quello con la “A” maiuscola, quello più
grande che Cristo ci ha testimoniato e donato tutto quello che
facciamo non serve e non riesce ad ottenere un risultato positivo che
duri nel tempo. Ma che cosa è l’Amore?

Parlare di amore è facile, si possono dire cose molto belle e
affascinanti. Esso è spesso enfatizzato e tutti vi fanno riferimento,
ma senza un riscontro concreto di fatti resta vano e inconcludente.
L’amore, non da telenovela televisiva o da messaggio virtuale della
Rete, è quello che sa sacrificare se stesso per le persone che ama, è
un gesto, una scelta concreta che cambia le situazioni, non è fatto di
belle parole suadenti ma di fatti, di opere che si vedono e di cui si
può fare esperienza. “Avevo fame e mi hai dato da mangiare, avevo sete
e mi hai dato da bere, ero in carcere e sei venuto a trovarmi, ero
straniero e mi hai accolto”. L’elenco del Vangelo ci interpella
profondamente, perchè anche oggi, qui tra noi, ci sono persone che
vivono tali situazioni. Basta avere occhi per vedere, cuore per amare
e voglia di fare qualcosa per loro... e non solo per loro – ci dice
Gesù –, ma per Lui stesso, perché Egli si identifica con ogni persona
che vive condizioni di esistenza disagiata ed emarginata. Chi riesce
ad amare così i poveri, i giovani, i sofferenti, coloro che vivono
come scarti della società, diventa promotore di giustizia e di pace
per tutti.

Don Aldo si è nutrito di questo Vangelo e sul Vangelo ha scommesso
tutta la sua esistenza. Lo ha fatto perseguendo con entusiasmo e
responsabilità la via dello sport, vissuto come fonte di gioia ma
anche di riscatto e di crescita educativa della persona, non di pura
ricerca del primato e di un ruolo importante. Ha sempre richiesto ai
suoi ragazzi, testimoniandolo in prima persona, di non rinunciare ai
valori etici e di solidarietà, per arrivare ad essere osannati dai
tifosi o dalla stampa; la sua via è stata quella di sacrificarsi e
pagare di persona per promuovere la giustizia e la dignità di tanta
gente bisognosa nei paesi poveri del mondo; la sua via è stata quella
della fede vissuta nella fedeltà alla preghiera e all’Eucaristia, alla
devozione a Maria Ausiliatrice; la via dell’amicizia schietta ed
esigente, aperta a tutti senza preclusioni, che suscitava gioia nel
cuore di chi lo frequentava. Tutto ciò conviveva nel modo più
spontaneo e immediato nella sua azione concreta, che svolgeva nei vari
campi del suo servizio di cappellano del Toro – o “padre spirituale”,
secondo la definizione che lui preferiva – come di promotore e
animatore dell’associazione “OASI”, di religioso salesiano e di amico
e confidente dei giovani alla ricerca di un senso pieno della vita, di
onesto e impegnato cittadino che amava la nostra città e si adoperava
per il suo progresso civile, culturale e sociale.

Due sono stati per me i momenti particolarmente importanti grazie ai
quali ho avuto modo di conoscerlo da vicino: quando si è adoperato per
celebrare una Messa in Cattedrale con la partecipazione dei membri
delle squadre giovanili del Toro e della Juventus, voluta per mostrare
come la fede può unire tutti e aiutare al rispetto e all’incontro,
anche tra realtà diverse e competitive sul piano dello sport; e, nei
mesi scorsi, lo ricordo quando, con particolare tenerezza, ha guidato
più volte la visita di gruppi di giocatori e dirigenti del Torino
calcio, a pregare davanti alla Sindone.

Mettere insieme realtà così diverse non è facile. Spesso si scindono,
perché si pensa che una non può stare insieme all’altra. Giocare al
calcio è una cosa, pregare è tutt’altro; lavorare per il proprio
profitto è una cosa, donarsi in perdita, senza guadagnarci niente, è
un’altra cosa, completamente diversa. Ma don Aldo aveva una morale
sola e una parola sola: “Non si può servire due padroni”, è scritto
nel vangelo. Non si può amare Dio e il denaro, l’umiltà e il potere,
la generosità e l’arrivismo, il bene comune e la ricerca del solo bene
per sé… Invece, se c’è un valore che tutti, laici e cattolici,
capiscono è proprio quello di rifuggire da quei compromessi e
privilegi perseguiti per ottenere un risultato utile solo a se stessi,
a scapito anche della onestà e dell’osservanza di regole etiche e
civiche, nel proprio operare. Don Aldo ha insegnato a tutti gli
educatori, allenatori e adulti a mettere in pratica il metodo
preventivo di don Bosco, che proponeva uno stile educativo fatto di
ragione, religione e amorevolezza, tre cardini che, se intrecciati
insieme, favoriscono la crescita armoniosa di una persona libera e
responsabile, non egoista ma solidale, non chiusa in se stessa, ma
fraterna.

“Venite, benedetti del Padre mio, a prendere in possesso il Regno
preparato per voi dal Padre mio fin dalla eternità”, ci dice Gesù
sulla scorta del Vangelo di oggi. Noi crediamo fermamente che di
questo Regno e di questa benedizione partecipa ora don Aldo, per cui
la nostra preghiera di suffragio diventa anche inno di lode e di
riconoscenza a Dio per averci dato la grazia di godere di questo suo
ministro e di poterne ancora cogliere i frutti in futuro, perché
quanto ci ha donato resterà imperituro nel cuore di tutti noi.

Vita Chiesa

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