Madre Teresa di Calcutta molto più che un nobel per la pace

Il ricordo di una donna straordinaria che ha vissuto nel segno del Vangelo

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Madre Teresa di Calcutta molto più che un nobel per la pace

L’11 dicembre 1979, ad Oslo, venne conferito a Madre Teresa di Calcutta il premio Nobel per la pace.

Di fronte al consesso di personalità, invitata dal presidente, Madre Teresa salì sul palco del relatore vestita del suo abituale abito religioso scelto come segno di identificazione con i più poveri, salutò l’aula con le mani giunte, secondo la tradizione indiana, e cominciò a parlare.

Come spesso accadeva a Madre Teresa, ella aveva un discorso scritto che mise subito da parte e cominciò a parlare a braccio. Prima, però, invitò i presenti a recitare, insieme, la “preghiera semplice di San Francesco”: «Signore, fa di me uno strumento della tua pace…».

È importante riprendere e rimeditare, in questi giorni di conflitti sparsi per tutto il mondo e alle soglie del Natale, il discorso che tenne allora.

Il centro dell’intervento è l’amore, la via da percorrere per promuovere la pace. La prospettiva è, ovviamente, cristiana. All’inizio del discorso è già enunciato il suo centro ideologico: «Ringraziamo Dio per l’opportunità che abbiamo tutti insieme oggi, per questo dono di pace che ci ricorda che siamo stati creati per vivere quella pace, e Gesù si fece uomo per portare questa buona notizia ai poveri. Egli essendo Dio è diventato uomo in tutto eccetto che nel peccato, e ha proclamato molto chiaramente di essere venuto per portare questa buona notizia. La notizia era pace a tutti gli uomini di buona volontà».

Da come ne parlò Madre Teresa la pace non è primariamente questione di trattati internazionali, protocolli di intesa, accordi fra Stati. Primariamente la pace è questione di relazione fra gli uomini: «siamo stati creati per amare ed essere amati».

Mettendo a disposizione dei suoi uditori molti esempi della sua vita, Madre Teresa racconta che una volta entrò in un istituto per anziani. Lì trovò gli ospiti che avevano tutto, ma nessuno sorrideva e tutti guardavano la porta. Chiedendone spiegazione ad una sorella ella rispose : « Questo accade quasi tutti i giorni, aspettano, sperano che un figlio o una figlia venga a trovarli. Sono feriti perché sono dimenticati».

Nel discorso di Madre Teresa, forse perché così arricchito della sua esperienza, l’amore non è una teoria, non è cosa che fa rima con sole e cuore, ma è azione per le persone concrete che ci stanno affianco, accoglienza della vita, predilezione per i poveri, per gli esclusi, per le persone sole e ferite. Molto spesso, nei suoi racconti, ritornano esempi di malati, poveri e bambini che hanno quasi niente, ma quel poco che hanno lo mettono a disposizione e lo condividono con altri.

L’amore è, nel suo intervento, frutto di contemplazione: «Credo che noi non siamo veri operatori sociali. Forse svolgiamo un lavoro sociale agli occhi della gente, ma in realtà siamo contemplative nel cuore del mondo. Perché tocchiamo il Corpo di Cristo ventiquattro ore al giorno». Precisamente per questo si fa concretezza, secondo la logica dell’incarnazione.

Concretezza che significa anche realismo. Non è necessario aspettare di andare a Calcutta per far proprie le parole di Madre Teresa. Ella stessa lo afferma esortando gli uditori di allora, e i lettori di oggi, 35 anni dopo: «Voglio che voi troviate il povero qui, innanzitutto proprio a casa vostra. E cominciate ad amare qui. Siate questa buona notizia per la vostra gente. E informatevi sul vostro vicino di casa. Sapete chi sono?».

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