Settant'anni dalla Liberazione, la Resistenza dei preti incarcerati
Nella durissima stagione dell'occupazione nazista molti sacerdoti, religiosi e religiose torinesi furono rinchiusi nel braccio tedesco del vecchio carcere Le Nuove: diedero grande prova di fedeltà al Vangelo e di carità, anche nei confronti degli aguzzini
Quale Resistenza fu attuata dalla ventina di sacerdoti imprigionati nel famigerato braccio tedesco del carcere «Le Nuove» a Torino? Come si opposero ai nazisti che annullavano la libertà di muoversi e gestirsi la giornata, con potere di vita e di morte sui reclusi? Quasi tutti furono arrestati durante l’occupazione nazista per motivi di pubblica sicurezza. Tra loro anche suore del Cottolengo, religiosi e sacerdoti di Torino e del Piemonte (don Brossa, don Bruno, don Canale, don Dadone, don Falco, don Gallo, don Foglia, don Lusso, don Marabotto, don Prinetto, don Ricceri, don Salassa, don Valletti). Suor Giuseppina De Muro, comandante del Braccio Femminile (1942-1965), ricordava il segretario del cardinale Maurilio Fossati, monsignor Vincenzo Barale, arrestato per favoreggiamento degli ebrei perseguitati dalle leggi razziali (1938).
Per questi reclusi, era «Resistenza» la preghiera e l’aiuto fraterno. Il sacramentino padre Giuseppe Missaglia scrisse a suor Giuseppina il 7 novembre 1944 (dall’Ospizio S. Famiglia di Cesano Boscone - Milano, dove era stato confinato dai nazisti dopo la carcerazione a Le Nuove) confidando il proprio impegno a far sì che la fede «non si frantumasse in tanti frammenti inutili, ma invece venisse avvalorata per il nostro e l’altrui bene. Grazie Madre e di tutto cuore. Al sollievo delle Sue parole, al conforto del suo interessamento sempre intuitivo quanto efficace Ella ha unito ancora l’edificazione calda e preziosa della sua carità. A tutti i suoi detenuti possa fare il bene che ha fatto a noi».
Nel 1944 anche il beato padre Giuseppe Girotti fu in prigione alle Nuove con il prof. Giuseppe Diena, medico ebreo che curava i malati, compresi i fascisti. Prima di essi don Angelo Dalmasso fu imprigionato per aver celebrato la Messa di Natale con i partigiani in montagna. Perfino due suore del Cottolengo finirono a Le Nuove per motivi di pubblica sicurezza.
Tanti partigiani cristiani combatterono con le armi per liberare il territorio occupato dai tedeschi. Le motivazioni che diedero senso al loro operato militare e politico si radicavano nella fede. Ci fu un giovane partigiano che perdonò il padre gerarca che lo aveva fatto condannare a morte per le sue idee diverse che animavano la resistenza al nemico germanico. Per la maggior parte dei patrioti e dei partigiani, tutto acquistava senso se riferito alla persona di Cristo sofferente e risorto. La fede nella Resurrezione di Cristo li stimolava a sperare in un futuro migliore per l’Italia e l’umanità intera.
Anche altri prigionieri e perseguitati dal regime nazifascista operarono la loro Resistenza esclusivamente per motivi spirituali e cristiani: agivano soltanto per carità, per amore verso Dio che si dimostra con l’amore verso gli uomini. Un amore rivolto non solo ai bisognosi e perseguitati, ma ai stessi loro carnefici, amati per carità affinché si ravvedessero per passare dal male satanico al bene comune.
Non mancarono prove di carità da parte dei Missionari della Consolata, di padre Ruggero Cipolla che rischiò tante volte la vita per aver difeso la dignità dell’uomo senza guardare al colore del partito: come uomo di Dio assistette prima i condannati a morte partigiani e poi quelli fascisti, perché tutti un giorno, secondo la fede evangelica, saremo chiamati davanti a Dio per rendere conto del nostro operato sulla terra di fronte a i nostri simili. Ancora a proposito di suor Giuseppina il Comitato di Liberazione scrisse: «Gli sbirri la minacciarono, la Direzione la diffidò, Ella lasciava dire e tornava tra i suoi partigiani… era la Vita che ci veniva incontro».
Per dar seguito al comandamento della la carità, dopo la guerra mons. Barale si adoperò a sostegno dei Poveri di via Moncrivello, suor Giuseppina fondò la «Casa del Cuore», che garantiva un tetto e un piatto caldo per sei mesi alle donne scarcerate, bisognose di aiuto in attesa trovarsi un lavoro e una sistemazione di vita dignitosa. Padre Cipolla, di concerto con la Direzione delle Nuove, realizzò la Scuola Plana per la formazione umana e l’insegnamento di un mestiere ai detenuti nella prospettiva del reinserimento socio-lavorativo. Microstorie del carcere «Le Nuove» negli anni della Guerra e della Liberazione. Vicende che interrogano gli uomini di fede, la società civile, le istituzioni di oggi.
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