Nel deserto del Gobi il silenzio che parla di Dio

Mongolial’esperienza di un gruppo del Coro giovani Sant’Alfonso nel paese asiatico e dove opera padre Giorgio Marengo missionario della Consolata

Parole chiave: Mongolia (2), missionari Consolata (2), padre Giorgio Marengo (1), missione (38)
Nel deserto del Gobi il silenzio che parla di Dio

Da tanto tempo, come gruppo Coro Giovani Sant’Alfonso, desideravamo andare a trovare padre Giorgio Marengo, parrocchiano di S. Alfonso, Missionario della Consolata,  attualmente impegnato ad annunciare Gesù nella piccola comunità di Arvajheer in Mongolia. Due sacerdoti e tre suore che da ormai 12 anni vivono a stretto contatto con questa popolazione in condizioni climatiche estreme, evidentemente spinti da un grande calore che viene da dentro, dal loro cuore missionario.

Siamo partiti il 3 luglio e ritornati il 19. Oltre 2000 chilometri percorsi su strade per la maggior parte sterrate, tra panorami mozzafiato e stellate da incanto. Tante pecore, capre, cammelli, mucche, yack e - soprattutto - tanto silenzio. Dalla capitale Ulan Bator ci siamo spostati verso sud, verso il deserto del Gobi, una striscia di dune di sabbia posta in mezzo a una radura pianeggiante resa verdissima da un vivace torrente che la attraversa e una catena montuosa sufficientemente alta da rompere la monotonia dell’immensa pianura desertica. La passeggiata a piedi nudi sulle dune è stata indubbiamente uno dei momenti più significativi del nostro viaggio. Abbiamo avuto la possibilità di assaporare un po’ di tempo in solitudine,  ripensando a quante volte nella storia della nostra fede il deserto sia stato luogo privilegiato di purificazione e di incontro con Dio. 

Abbiamo poi raggiunto il centro della Mongolia, fermandoci ad Arvajheer, dove i missionari della Consolata hanno la loro missione. Saliti quindi al nord nella valle dell’Orkhon, patrimonio dell’Unesco, e visitata la vecchia capitale Karakorum, abbiamo poi concluso il nostro viaggio nell’attuale capitale, dove abbiamo anche incontrando il prefetto apostolico  mons. Wenceslao Selga Padilla.

Al di là del percorso turistico, ricco e variegato, davvero preziosa è stata la presenza di padre Giorgio, che ci ha accompagnato nella lettura della cultura mongola, e l’incontro con la comunità di Arvajheer. È una comunità che conta venti battezzati in una cittadina di  ventimila anime: niente per gli appassionati di numeri, ma a noi italiani abituati a ben altre cifre ha fatto tanto bene vedere la fede e la semplicità di queste famiglie. «A voi manca l’esperienza di una vita senza Dio, l’avete dimenticata», ci ha detto un padre di famiglia, «a voi manca l’esperienza di una vita religiosa caratterizzata dalla paura - la paura di essere assaliti degli spiriti malvagi, da presenze maligne». Conoscere un Dio che ti difende da tali timori, che ti protegge, che ti benedice, che ti perdona, è stata una meravigliosa scoperta.

Per chi ha vissuto, da sempre, senza Dio, ognuna di queste verità di fede è stata un tuffo in una sorgente di vita e di libertà. «Gesù libera dal male»: personalmente, credo di non aver capito mai così bene la forza di queste parole.

Abbiamo visitato la Ger (tenda tradizionale) di una famiglia: ogni nucleo famigliare vive in una tenda rotonda, di cinque metri di diametro. Una cassettiera, un armadio, una stufa e un tavolino: impensabile tanta essenzialità per noi, abituati a ben altre comodità; eppure sembra non mancare niente. Una bibita, un pezzo di yogurt secco, un cioccolatino – forse anche più di uno - ed è subito festa. Insieme, poi, una preghiera e la benedizione di questa piccola casa. I tappeti della Ger sono bagnati dall’acqua benedetta e dalle lacrime di commozione della mamma, felice di essere visitata da nove curiosi e festosi viaggiatori.

Un momento davvero di grande bellezza e profondità.

La domenica la celebrazione dell’Eucarestia insieme alla comunità: un messale di cinque chilogrammi, che contiene la traduzione del rito eucaristico in latino e in mongolo. È questa la prima traduzione dell’Eucarestia in mongolo che attende di essere ufficializzata dalla Santa Sede. Una celebrazione tanto intensa, resa ancora più gioiosa dalla benedizione del nuovo fonte battesimale: una pietra nella quale è stata scavata una grande croce; seguono la preghiera di benedizione e poi l’aspersione con l’acqua del fonte appena benedetto. Momenti di un rito che i nostri occhi hanno già visto tante volte, e che i nostri amici mongoli osservano pieni di meraviglia. Per loro tutto è nuovo, tutto è grazia… «Le cose di prima sono passate, ne sono nate di nuove». Di fronte a tutto questo, mi trovo a riflettere: varrebbe la pena spiegare il significato di quella grande pietra appesa al centro della ger. Basta infatti sapere che serve a dare stabilità alla tenda nei giorni ventosi. Un significato bellissimo se associato al nostro battesimo. Lo spirito di Dio che ci rende forti, radicati nell’amore di Dio, quando nella vita tira vento di tempesta.

Grazie alla splendida e giovanissima Comunità di Arvajheer, alle cui attività pastorali fin dai primi giorni di missione il Coro Giovani S. Alfonso ha voluto contribuire, in modo semplice e spontaneo, con le sue attività e concerti. Soprattutto, grazie a padre Giorgio e ai Missionari della Consolata per averci guidato alla scoperta della Mongolia; grazie perché nel silenzio, con molta semplicità e tanta concretezza, stanno scrivendo una pagina di storia del cristianesimo alla quale ci sentiamo, in piccola parte, di aver  partecipato.

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