Lo sviluppo e il progresso dei popoli
La prima enciclica sociale dopo il Concilio, la "Populorum Progressio" a cinquant'anni dalla sua promulgazione
«Il progresso (lo sviluppo) dei popoli è il nuovo nome della pace». Cinquant’anni fa, il 26 marzo 1967, Paolo VI promulgava la «Populorum progressio», la prima enciclica sociale dopo il Concilio (1962-65) dedicata interamente allo sviluppo che, in qualche modo, sancisce l’opportunità degli accordi raggiunti il 1°-22 luglio 1944 a Bretton Woods nel New Hampshire (Stati Uniti) dove era stato individuato un nuovo l'ordine economico internazionale con la creazione di tre istituti: il Fondo monetario internazionale, la Banca mondiale, l’Organizzazione internazionale del commercio.
Quei tempi erano contrassegnati da alcuni fatti - La decolonizzazione, specie in Africa; la «guerra fredda»; la proliferazione degli armamenti, specie nucleari; il nazionalismo in Francia e il razzismo in Sudafrica; la crescita della Cina; la guerra in Vietnam; la promessa (dal 1960 e mai realizzata) di destinare l’1 per cento del reddito dei Paesi ricchi per lo sviluppo dei poveri; il continuo aumento di persone che soffrono la fame, le malattie, la mancanza di lavoro e di una casa; l'incomprensione tra le generazioni che esploderà nel Sessantotto.
Viaggi di Giovanni Battista Montini prima del pontificato - Il 3-6 giugno 1960 visita gli Stati Uniti e il Brasile – la nuova capitale Brasilia e le «favelas» - e il 19 luglio-10 agosto 1962 Rhodesia, Ghana e Nigeria. Durante il pontificato va in Terra santa (1964), India (1964), New York e Onu (1965). L'enciclica montiniana arriva dopo i documenti roncalliani «Mater et magistra» (1961) e «Pacem in terris» (1963) e dopo la conciliare «Gaudiurn et spes» (1965). Paolo VI si avvale di numerosi contributi: dei francesi Louis Joseph Lebret, Jacques Maritain, Paul Poupard; dell’italiano Pietro Pavan, segretario delle Settimane sociali; del brasiliano Helder Camara, arcivescovo di Olinda e Recife; di Léopold Séndar Senghor, latinista e presidente del Senegal,
L'enciclica tratta dello sviluppo in relazione alla pace - Gli squilibri sociali, le lotte, le rivoluzioni e le guerre sono il segno di una convivenza che chiede giustizia. Nella prima parte Paolo VI definisce lo sviluppo non come semplice crescita economica, ma «per essere autentico deve essere integrale, volto alla promozione di ogni uomo, di tutto l'uomo, di tutti gli uomini», soprattutto nei Paesi poveri. Considera la proprietà, l'uso dei beni, la riforma del capitalismo, i programmi di sviluppo, l'alfabetizzazione, la famiglia, i problemi demografici: «Lo sviluppo economico, la tecnica, la ricerca non hanno in sé la ragion d'essere, ma hanno valore nella misura in cui sono al servizio della persona, riducono le disuguaglianze, combattono le discriminazioni, liberano l'uomo e lo rendono responsabile».
Lo sviluppo è il passaggio da condizioni meno umane a condizioni più umane - A) Condizioni meno umane: carenze materiali di coloro che sono privati del minimo vitale; carenze morali di coloro che sono accecati dall'egoismo; strutture oppressive collegate agli abusi del possesso e del potere, sfruttamento dei lavoratori, ingiustizia delle transazioni. B) Condizioni più umane: ascesa dalla miseria al possesso del necessario; vittoria sui flagelli sociali; ampliamento delle conoscenze e della cultura; accresciuta considerazione della dignità altrui; orientamento verso lo spirito di povertà; cooperazione al bene comune; volontà di pace; riconoscimento dei valori supremi e di Dio che ne è la sorgente e il termine; fede, dono di Dio accolto dalla dall'uomo; unità nella carità del Cristo che ci chiama a partecipare alla vita di Dio».
Chi è artefice dello sviluppo? - Le persone e le famiglie, i corpi intermedi e i poteri pubblici («Bisogna evitare la collettivizzazione e la pianificazione arbitraria»), le riforme agrarie, evitando l’industrializzazione improvvisata o precipitosa. Occorre che lo sviluppo sia graduale e armonico, ma «bisogna affrettarsi» perché «grande è la tentazione di respingere con la violenza simili ingiurie alla dignità umana. E occorre che sviluppo economico e sociale e sviluppo umano camminino insieme, perché l'umanesimo esclusivo è inumano».
Cooperazione tra i popoli e sviluppo dei popoli – Nel documento di cinquant’anni fa Paolo VI ripete che «lo sviluppo umano, economico e sociale deve riguardare i singoli, le famiglie, i popoli più poveri» e che «lo sviluppo integrale dell'uomo non può aver luogo senza lo sviluppo solidale dell'umanità». Imbevuto del personalismo del filosofo francese Emmanuel Mounier, Papa Montini ricorda che lo sviluppo di sé non può avvenire separatamente dallo sviluppo degli altri, quindi «dovere di solidarietà, cioè aiuto che le Nazioni ricche devono prestare ai Paesi in via di sviluppo; dovere di giustizia sociale; riorganizzazione delle relazioni commerciali tra popoli forti e popoli deboli; dovere di carità universale; promozione di un mondo più umano per tutti».
A Torino nasce il «Movimento sviluppo e pace» – Per iniziativa di alcuni coraggiosi e volonterosi laici, tra la fine del 1967 e l’inizio del ’68, nasce un’associazione non confessionale basata sulla «Carta» dell’Onu, sulla «Populorum progressio», sulla non violenza del Mahatma Gandhi. Tra i promotori alcuni che nel 1963 avevano dato vita alla «Quaresima di fraternità»: Carlo Baffert, Giovanni Bertone, don Luigi Berruzzi, Valentino Castellani futuro sindaco di Torino, Giorgio Garneri, Pier Giorgio Gilli, Giovanni Giovannini, Edoardo Gorzegno. Infaticabile animatore è l’ingegnere Giorgio Ceragioli, docente ad Architettura proveniente da una scuola di carità come la San Vincenzo e da una scuola di ecclesialità e laicità come l’Azione Cattolica. Aveva fondato con Giovanni Ermiglia il «Movimento Sarvodaya» e le «Serva Seva Farms» in India dove si reca nel gennaio 1965: a Calcutta incontra la piccola Madre Teresa, ancora sconosciuta in Italia. Invitata dalla «Quaresima di fraternità», nel febbraio-marzo 1966 arriva per la prima volta a Torino. «Sviluppo o e pace» per vent’anni pubblica «Terzo Mondo informazioni».
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