La Chiesa italiana «è in prima fila nell’accoglienza ai profughi»
Lo riconosce il Consiglio permanente della Conferenza episcopale italiana riunito a Firenze per la sessione autunnale. Non si tratta di entusiasmi fuori luogo perché l’accoglienza è una cosa seria
Oltre 27 mila migranti sono ospitati in circa 1.300 strutture di diocesi, parrocchie, comunità religiose, santuari, monasteri, famiglie.
Forti di questa esperienza, maturata nel rapporto con le istituzioni civili, per ampliare la rete ecclesiale dell’accoglienza il Consiglio ha approntato una bozza di vademecum con cui accompagnare le diocesi e le parrocchie: vengono indicate forme, luoghi e destinatari, e gli aspetti amministrativi, gestionali, fiscali e assicurativi, aspetti sui quali un’informazione superficiale, gridata e raffazzonata di casa nostra spesso sorvola. Necessarie sono l’informazione, che consente di conoscere chi arriva e le cause dell’immigrazione forzata, e la formazione volta a preparare chi accoglie. A breve il vademecum sarà inviato a tutti i vescovi.
Alla vigilia del Sinodo sulla famiglia (4-25 ottobre), il Consiglio «ha espresso convinta vicinanza alle famiglie, a partire dalla condivisione della loro non facile opera educativa». Il Consiglio rivolge ai responsabili della cosa pubblica l’appello «a compiere ogni sforzo per consentire a tutti l’accesso alle condizioni essenziali, materiali e spirituali, per formare e mantenere una famiglia», a cominciare dal lavoro e dalla casa. Si è anche discusso del XXVI Congresso eucaristico nazionale in programma a Genova il 15-18 settembre 2016.
È sulla vita e l’attività dei sacerdoti che la Cei sembra cambiare passo. Il comunicato parla di «vita spirituale e carico burocratico-amministrativo che spesso grava sulle loro spalle. I vescovi sono decisi ad avviare processi di riforma che aiutino il sacerdote a un esercizio del ministero con stile sinodale e missionario». Parte da qui anche «la possibilità di favorire l’introduzione di un diverso e più sostenibile modello organizzativo e amministrativo delle parrocchie, ispirato a più livelli a una maggiore corresponsabilità dei laici». La Cei dunque prefigura un «diverso e più sostenibile modello organizzativo e amministrativo delle parrocchie».
Sono state varate le Commissioni episcopali per il quinquennio 2015-2020. Vicepresidente per il Nord è il vescovo di Novara mons. Franco Giulio Brambilla. I presidenti delle Commissioni sono stati eletti dall’assemblea di maggio, i membri sono stati nominati ora dal vertice Cei.
Tra i nominati ci sono alcuni vescovi subalpini o nativi della Regione Piemonte-Valle d’Aosta. Commissione per la dottrina della fede, l’annuncio e la catechesi: Renato Boccardo, arcivescovo di Spoleto-Norcia, nativo di Sant’Ambrogio di Torino in diocesi di Susa; Giuseppe Cavallotto (Cuneo e Fossano). Commissione per la liturgia: Vittorio Francesco Viola (Tortona), nato a Biella: Tortona – come è noto – è in provincia di Alessandria e nella Regione Piemonte ma fa parte della Conferenza episcopale ligure. Commissione per il laicato: Gabriele Mana (Biella). Commissione per l’evangelizzazione dei popoli e la cooperazione tra le Chiese: Alfonso Badini Confalonieri (Susa). Commissione per l’educazione cattolica, la scuola e l’università: Alberto Maria Careggio (emerito di Ventimiglia-Sanremo), nato a Mazzè (provincia di Torino e diocesi di Ivrea). Commissione per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace: Marco Arnolfo (Vercelli). Consiglio per gli affari giuridici Franco Lovignana, vescovo di Aosta. Per la prima volta direttore dell’Ufficio nazionale Cei per l’educazione, la scuola e l’università è stato nominato un laico: Ernesto Diaco. Infine responsabile del Servizio nazionale per l’edilizia di culto, ad interim, dal 15 novembre 2015, è don Valerio Pennasso di Alba.
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