Josef Mayr-Nusser, il martirio di un padre coraggioso
A Bolzano è stato proclamato beato il militante dell'Azione Cattolica che si oppose al nazismo, papa Francesco l'ha ricordato
«A Bolzano è stato proclamato beato
padre di famiglia ed esponente dell’Azione Cattolica, morto martire perché si rifiutò di aderire al nazismo per fedeltà al Vangelo. Per la sua grande levatura morale e spirituale costituisce un modello per i laici, specialmente per i papà». Papa Francesco domenica 19 marzo 2017 ricorda questo martire della fede dichiarato beato il 18 marzo 2017 nel Duomo di Bolzano dal cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione dei santi: si lascia guidare da Cristo «del quale è testimone fino all’offerta della vita».
Josef. Chiamato familiarmente «Bepi», nasce il 27 dicembre 1910 a Bolzano da una famiglia di viticoltori. Ha lo sport nel sangue, ama il pattinaggio, legge con avidità libri impegnati, coltiva una intensa vita spirituale. Da piccolo gli piacciono le stelle e si incanta a fissare il cielo: vorrebbe farel’astronomo, da grande. Deve accontentarsi di un diploma di scuola commerciale e adattarsi a fare il cassiere a Bolzano.
Travolgente e vulcanico trascinatore di giovani, ne cura la formazione umana e spirituale, affermando che «dare testimonianza è la nostra unica arma efficace perché intorno a noi c'è il buio della miscredenza, dell'indifferenza, del disprezzo e forse della persecuzione». Sviluppa una grande attenzione ai più poveri. Nel 1934, a 24 anni, è eletto presidente dell’Azione Cattolica di Trento e nel 1939 presidente della Conferenza di San Vincenzo fondata a Bolzano. La sua giornata: Messa quotidiana, rosario quotidiano, servizio ai poveri, lavoro.
Non sfuggono agli amici queste sue parole del 1936: «Oggi, più che in qualsiasi altro tempo, si esige nell’Azione Cattolica un cattolicesimo vissuto. Oggi si deve mostrare alle masse che l’unico capo che solo ha diritto a una completa, illimitata autorità e a essere il nostro “condottiero” è Cristo». Si innamora di Hildegard, che lavora nella sua ditta: tra i due c’è un’evidente affinità e una grande condivisione di ideali. Le fa una corte tenace fino a quando lei – che stava pensando seriamente di farsi suora – acconsente. Convinto che nel matrimonio ci sia spazio per testimoniare la fede e aspirare alla santità, la sposa il 26 maggio 1942 e l’anno successivo arriva Albert.
Arruolato a forza nelle SS perché di lingua tedesca, nel 1944 è inviato in Polonia, a Konitz presso Danzica, nel campo di addestramento delle SS. Gli insegnano la formula del giuramento: «Giuro a te, Adolf Hitler, Führer e cancelliere del Reich, fedeltà e coraggio. Prometto solennemente a te e ai superiori designati da te obbedienza fino alla morte. E che Dio mi assista». Lui si era ribellato già nel 1936 quando aveva scritto: «Ci tocca assistere a un culto del leader (Führer) che rasenta l'idolatria». Da giovane aveva letto le opere di San Tommaso, del teologo di Romano Guardini e soprattutto le «Lettere dal carcere» di San Tommaso Moro (1478-1535), lord cancelliere di Enrico VIII, al quale dice «no» per il matrimonio con Anna Bolena e per lo scisma dalla Chiesa cattolica: il depravato re lo fa decapitare nella Torre di Londra. Vicenda immortalato dall’opera teatrale di Robert Bolt «A Man for All Seasons, Un uomo per tutte le stagioni», portato sullo schermo nel 1966 da Fred Zinnemann con attori superlativi Paul Scofild, Robert Shaw e Orson Wells.
La mattina del 4 ottobre 1944, Josef rifiuta a voce alta: «Non posso giurare a questo Führer e non mi sento nazionalsocialista per motivi religiosi». Ai commilitoni, che lo invitano a ritrattare, risponde: «Se nessuno avrà mai il coraggio di dire no a Hitler, il nazionalsocialismo non finirà mai». Alla moglie scrive: «Prega per me affinché nell'ora della prova io possa agire senza esitazioni secondo i dettami di Dio e della mia coscienza. Tu sei una donna coraggiosa e nemmeno i sacrifici che forse ti saranno chiesti potranno indurti a condannare tuo marito perché ha preferito perdere la vita piuttosto che abbandonare la via del dovere».
Josef è arrestato, processato e condannato a morte come «disfattista». A inizio febbraio 1945 è caricato su un treno impiombato, insieme ad altri 40 obiettori,
verso il campo di concentramento e sterminio di Dachau e muore per le torture subìte. Il convoglio è costretto a fermarsi a Erlangen perché la linea è bombardata. Sta male, ha la febbre e la dissenteria. Per iniziativa di una delle guardie, un ex seminarista, affronta un viaggio a piedi di tre ore per essere visitato da un medico nazista, che lo rimanda indietro: «Niente di grave, può riprendere il viaggio». Tornato sul treno, muore quella stessa notte il 24 febbraio 1945. «Per broncopolmonite» dirà il telegramma che oltre un mese dopo, arriverà a casa sua. «Per Cristo e per la fede» dice la Chiesa.
I testimoni ricordano che non si lamenta mai e che continua a ringraziare chi cerca di alleviare le sue sofferenze. Anni dopo il soldato tedesco, che lo aveva scortato, disse di aver trascorso 14 giorni con un «santo». Il cardinale Amato pensa che «possiamo apprendere il coraggio di essere testimoni di Cristo e del suo Vangelo e manifestare amore per la verità e rispetto della propria coscienza. La straordinaria personalità di Josef arricchisce la Chiesa». Il vescovo di Bolzano, mons. Ivo Muser, aggiunge: «Sceglie con la sua coscienza ma le sue scelte le porta tra gli uomini, nella "polis". Il suo messaggio dice “no” ai populismi e alle scelte facili».
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