Beatrice Alamanni De Carrillo da Torino sulle tracce di mons. Romero

Procuratrice per i diritti umani nel paese centroamericano collaboratrice di mons. Romero e padre Ellacuria

Parole chiave: El Salvador (2), chiesa (665), mondo (65), martiri (20), romero (5)
Beatrice Alamanni De Carrillo da Torino sulle tracce di mons. Romero

Beatrice Alamanni de Carrillo è una donna coraggiosa, una vita spesa per gli altri, percorsa in un contesto davvero difficile come quello del centroamerica, nella nazione di El Salvador. Beatrice nasce a Lauriano Po, cresce in una famiglia benestante di Torino, in un ambiente felice e sereno, studia all’Università del capoluogo sabaudo. Poi la svolta, con il trasferimento dall’altra parte dell’oceano. Beatrice è stata italiana. perché la legislazione salvadoregna non consente la doppia cittadinanza. Quando nel 1968 decide, giovanissima neolaureata in Giurisprudenza, di lasciare Torino per seguire il marito (un ingegnere elettronico uscito dal Politecnico torinese, figlio dell’ambasciatore salvadoregno all’Onu), vola dall’altra parte del mondo, dove sceglie anche di rinunciare alla nazionalità italiana.

Gli studi in diritto e la volontà di trovare una strada e una vocazione umana e professionale diversa da un destino segnato sono il suo assillo: signora ‘bene’ dell’alta borghesia salvadoregna, decide di dare un taglio netto a privilegi e comodità. L’incontro con monsignor Romero e padre Ellacuría, padre gesuita dell’Università dell’Uca, le cambiano la vita. Diventa Procuratrice per i diritti umani, e si dimostra una combattente mai doma in difesa dei più poveri. Da allora la sua storia personale ha coinciso con quella del Salvador e la sua identificazione con il popolo del Salvador è davvero profonda e ricca di momenti tragici e gioiosi.

Un bellissimo libro a cura di Paola Paganuzzi, «Ahora y Aquì. La mia vita per i diritti umani nel Salvador», il Margine editrice, racconta la storia della coraggiosa donna italiana ‘convertita’ dai poveri e dai martiri del Salvador. Gli incontri con Romero e con Ellacuría, entrambi martiri, uccisi dai sicari della destra reazionaria e padronale, gli undici anni di guerra civile, due spaventosi terremoti. Nominata nel 2001 «procuradora per la difesa dei diritti umani del Salvador», Beatrice Alamanni per sei anni lavora per il suo popolo d’adozione, senza badare alle molte minacce ricevute, per dimostrare che non bisogna mai rassegnarsi fatalisticamente all’idea che «la giustizia morde il piede di chi è scalzo».

Nel libro ci sono non solo la cronaca di un impegno in prima linea (dal Rapporto sui desaparecidos al caso di Erlinda ed Ernestina e degli altri bimbi scomparsi) ma anche le sue riflessioni sul legame indissolubile tra diritti umani e Vangelo. «Vedevo morire i bambini di leucemia con le scarpe sopra il letto e nella mano pochi centesimi». È una delle immagini del ‘suo’ popolo che Beatrice si porta nel cuore per sempre, e che rimangono scolpite in cui l’ascolta o legge i suoi racconti. Il volume, che è aperto dalla prefazione del teologo Jon Sobrino, fa conoscere la singolare vicenda di questa donna, coinvolta in cinquant’anni di dolore e di speranza del popolo salvadoregno per l’irresistibile attrazione esercitata su di lei (sulle tracce di un’altra luminosa figura di martire salvadoregno, padre Rutilio Grande, ucciso nel 1977) dalle testimonianze della Verità di monsignor Romero («per quasi due anni la sua voce è stata la mia forza») e dei padri gesuiti Ignacio Ellacuría (rettore dell’Università Cattolica Centro-americana), Segundo Montes (superiore della comunità), Ignacio Martín-Baró (vicerettore), Amando López (professore), Juan Ramón Moreno (professore), Joaquín López (direttore nazionale di «Fe y Alegria»).

Una raccolta di pequeños mensajes, che Beatrice ha scritto nel 2007 quando era procuratrice per una rivista dei salesiani («piccoli messaggi» circa i valori fondamentali dell’umanità suggeriti e presupposti dal Vangelo), si offre a «tutti coloro, non solo chi è cristiano, che cercano un mondo migliore, ora e qui». L’impatto con la povertà e la sofferenza di El Salvador, venendo dalla Torino solida ed elegante degli anni Sessanta, l’ha ‘costretta’ a un’inversione di marcia, che non è stata indolore. Nel libro si parla di «dura conquista» e di dono provvidenziale. Forse tale pensiero glielo ha suggerito anche il suo amato Manzoni, una delle letture della giovinezza che lei non ha mai dimenticato, ma poi l’accelerazione è venuta dall’incontro con figure straordinarie di martiri e santi salvadoregni. La giustizia, è una profonda convinzione di padre Ignacio Ellacuría, che è stato maestro di vita, guida spirituale, amico carissimo di Beatrice, non è solo subordinata alla fede: appartiene invece a essa, a tal punto che non si ha una fede cristiana integrale se non si praticano le opere della giustizia.

Qui e ora e con i piccoli del Regno, come la stessa Beatrice Alamanni De Carrillo scrive nel saggio. «La vita di ognuno di noi ha di certo un senso, non solo per coloro che credono ma anche per tutti quelli che vogliono, liberamente, trovare se stessi nel turbine confuso o nella monotonia apparentemente grigia della vita. La fede che sbocciò in me, fin da piccola, al di fuori di stimoli esterni e di insegnamenti dottrinali, verso un cammino teso al servizio e, soprattutto, all’amore molto profondo per ‘l’altro’, chiunque esso fosse, credo che sia stato il cammino offertomi dalla Provvidenza per dare alla mia vita un senso o, meglio, per dare a me il senso della mia vita».

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